L’Isola d’Elba, Tavolara, l’Isola del Giglio, Le Camere, ma anche Favignana e Palmarola: ogni opera su vetro di Antonello Viola è ispirata a un’isola, dando forma nel tempo a un arcipelago immaginario e personale, in cui le caratteristiche fisiche delle singole isole si dissolvono in vaporosi accordi cromatici. Elaborazione di un’esperienza realmente vissuta o evocazione fantastica, l’opera con la sua peculiare architettura, enfatizzata dalla trasparenza del vetro, simula il meccanismo della memoria. Similmente al ricordo, che spesso affiora nella mente non come visione nitida, ma immagine sfumata, frammentaria, impressione impalpabile, così le isole dipinte da Viola catturano su vetro la sostanza cromatica, il riflesso di quell’essenziale unione di cielo, acqua, luce, vapore, sabbia, roccia concretizzata nell’isola — o nell’idea di quell’isola.
Proprio come nella memoria, gli elementi del paesaggio sopraggiungono nelle opere di Viola non in una sequenza ordinata, ma si sovrappongono e si compenetrano, sembrano essersi sedimentati essi stessi sui pannelli di vetro nel corso del tempo, nella loro essenza residuale cromatica. Il tempo come misura della pittura. L’immagine dei luoghi è scomposta nei suoi colori e nelle sue forme note, e ricomposta in accostamenti in cui è possibile riconoscervi lo spazio e il tempo degli elementi terracquei, ma solo con la coda dell’occhio, lasciandosi andare alla percezione dei sensi.
Ciascun elemento non si cristallizza in una forma conchiusa ma, segno messo in rapporto con gli altri, evoca l’incessante trasformazione della materia che cambia di stato, della roccia che diventa sabbia, il movimento costante del mare, l’acqua che evapora per il sole, che spumeggia per il moto ondoso e per il vento. Le isole sono per eccellenza territori dai confini mutevoli, costantemente ridefiniti dalle maree, vibranti per i riflessi della luce sull’acqua che li circonda.