Laurianne Langevin: voice
Cyrille Doublet: piano
Laurianne Langevin e Cyrille Doublet hanno voluto raccogliere tutte le voci di Parigi in un unico abbraccio fatto di swing e di poesia, che abbia lo smalto della capitale e la morbidezza di una confidenza. In questo abbraccio, le grandi voci che hanno fatto la storia della canzone francese - la Piaf, ovviamente, insieme ad Yves Montand, Charles Aznavour o Serge Gainsbourg - ma anche tutto quello che la Ville-Lumières ha ispirato ai massimi esponenti del jazz americano, da Miles Davis a Chet Baker, da George Gershwin a Vernon Duke. Questo abbraccio in cui le luci di New York sembrano riflettersi in quelle di Parigi, Laurianne e Cyrille lo hanno chiamato Paris Lullaby.
“L’omaggio di Cyrille Doublet e Laurianne Langevin alla Francia attraverso le lenti del jazz è intimo e delicato. Se non fosse una parola desueta si potrebbe definire ‘bello’ nella sua migliore accezione. Bellezza intesa come limpido e luminoso. Musicale e intenso con il delicato tocco di Cyrille Doublet e l’emozionante voce di Laurianne Langevin. L’accezione diviene pertanto eccezione.” (Paolo Fresu)
Una voce isolata nell’industria musicale del Nord Europa: il compositore danese Rued Langgard non ha allievi, viene suonato di rado e spesso e volentieri viene dimenticato quando si tratta di assegnare posti o commissionare opere importanti in patria. Scrive la sua Quarta sinfonia dal titolo “Løvfald” (Sentiero autunnale) nel 1916, all’età di 22 anni. Il brano viene eseguito per la prima volta in 13 parti nel 1922 a Heidelberg. La musica a programma espressivo-drammatico, rivista nel 1920, viene quindi composta in un periodo creativo “modernista”, in cui questo eccentrico talento eccezionale compone opere visionarie come la “Sfærernes Musik” (Musica a sfera) o la Suite per pianoforte “Insektarium”. A cinquant’anni di distanza, alla fine degli anni Sessanta, influenzeranno entrambe il movimento d’avanguardia del dopoguerra. Insieme al suo contemporaneo Carl Nielsen, Rued Langgard è oggi tra i rappresentanti di spicco della musica danese del XX secolo. È possibile scrivere ancora sinfonie dopo Beethoven e costruire nuove “case” sulle fondamenta del “classicismo viennese”? Nella sua opera sinfonica, Johannes Brahms si cimenta in questo tentativo uscendo così dall’ombra lunga del suo predecessore. Compone la Sinfonia in re maggiore nel 1877, durante la villeggiatura a Pörtschach, sul Wörthersee. La prima esecuzione ha luogo il 30 dicembre 1877 sotto la direzione di Hans Richter al Musikverein di Vienna. In una “variazione in sviluppo”, come Arnold Schönberg definisce questa procedura, il lascito di Beethoven viene modificato, integrato e ulteriormente sviluppato nella più lirica delle quattro sinfonie di Brahms. Ancor prima della prima presentazione in sala da concerto, Brahms modula la sinfonia, di cui i critici loderanno più avanti la “chiarezza solare”, dalla chiara tonalità maggiore alla scura tonalità minore: “La nuova sinfonia è talmente malinconica che non la reggono. Non ho mai scritto qualcosa di così triste, in tonalità minore: la partitura deve essere pubblicata con il bordo nero del lutto”. Che dica sul serio? Difficilmente. La sua musica pastorale spodesta le ombre cupe e risuona come il ricordo di un’estate spensierata.
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