Quartetto Tetzlaff - Pubblicato da martin_inside

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Informazioni evento

Christian Tetzlaff / violino
Elisabeth Kufferath / violino
Hanna Weinmeister / viola
Tanja Tetzlaff / violoncello

Joseph Haydn: Quartetto per archi in fa minore op.?20/5 Hob.?III:?35
Felix Mendelssohn Bartholdy: Quartetto per archi n.?2 in la minore op.?13
Franz Schubert: Quartetto per archi n.?14 in re minore, D.?810 >La morte e la fanciulla

Christian Tetzlaff, violino, e sua sorella Tanja Tetzlaff, violoncello, tre anni fa suonarono in trio con il pianista Lars Vogt per la Società dei Concerti di Bolzano. Il concerto ebbe una risposta entusiastica da parte del pubblico. I due fratelli ritornano a Bolzano il 16 marzo ma questa volta come membri del Quartetto Tetzlaff insieme a Elisabeth Kufferath, 2° violino, e Hanna Weinmeister, viola, per eseguire il Quartetto per archi in fa minore op. 20/5 di Joseph Haydn, il Quartetto n. 2 in la minore di Felix Mendelssohn e il quartetto "La morte e la fanciulla" di Schubert. Il quartetto è considerato uno degli "ensemble di musica da camera attualmente più affascinanti in giro per il mondo."

Per maggiori informazioni sul quartetto:
https://www.christian-tetzlaff.de/tetzlaff-quartett/

In collaborazione con Musik Meran.

prenotazione obbligatoria:
Teatro Comunale
tel +39 0471 053800
info@ticket.bz.it

Accesso ai concerti: L’accesso è consentito a chi può esibire il greenpass.

Contatti :

Date e orari evento :

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  • “La mia anima aspira al Signore, e in lacrime Lo cerco. Come posso non cercare te?” Arvo Pärt, che ricava la sua musica “dal silenzio e dal vuoto”, compone nel 1991 il brano per orchestra d’archi “Silouan’s Song”, ispirandosi al breve testo di una preghiera del mistico russo-ortodosso Silouan (1866–1938) dello Stato Monastico Autonomo del Monte Athos, in Grecia. Tra le righe musicate del testo, Pärt infila “battute vuote” di silenzio, unendo in tal modo la trasparenza armonica e melodica alla contemplazione spirituale. Nel 1867, Henrik Ibsen scrive a Ischia e Sorrento il suo poema drammatico “Peer Gynt”: il protagonista è un vagabondo, un gradasso per cui tutto è fantasia, nulla realtà. Le musiche di scena di Edvard Grieg per il “meno musicale di tutti i temi pensabili e immaginabili” trasformano una materia così poco malleabile in un brano popolare che riscuote un successo straordinario. Nel 1888 e 1891, Grieg estrae dai 26 pezzi che compongono il lavoro due suite per orchestra, che diventeranno ben presto successi mondiali. “Il mattino” – di gran lunga il più noto dei brani dell’opera di Grieg – si trova nella prima suite, sebbene sul palcoscenico introduca in realtà il quarto atto. È seguito, secondo una drammaturgia esclusivamente musicale, da “La morte di Aase”, “La danza di Anitra” e “Nell’antro del re della montagna”. La seconda suite inizia con il “Il ratto della sposa” e termina, dopo “Il ritorno a casa di Peer Gynt”, con la “Canzone di Solveig”. La composizione come un puzzle: “La disposizione dei temi, un’occupazione importante e misteriosa. Come se il Padre eterno avesse fatto cadere le tessere di un mosaico dal pavimento del Cielo e mi avesse chiesto di ricostruirlo con la massima precisione”, constata Jean Sibelius, la cui quinta sinfonia è un cantiere infinito. Mettersi ad assemblare le piastrine di un mosaico nel bel mezzo della Prima guerra mondiale è tutt’altro che facile: nel 1915 scrive una prima versione, nel 1916 una seconda che non pubblica nemmeno, e solo nel 1919 nasce l’ultima versione della sinfonia – ridotta da quattro a tre movimenti – che nel finale termina in modo spettacolare con sei esplosioni di suono. Il 22 aprile 1919, il compositore scrive soddisfatto: “Sinfonia n. 5 – mirabile, o dovrei dire horrible dictu. Finita, nella sua versione definitiva. È stata una lotta con Dio.”
  • “Le masse popolari si aspettano belle melodie, ma al contempo anche ottima musica strumentale e opere” e nessuna “disarmonia ambigua’”, afferma nel gennaio 1936 il famigerato articolo della Pravda “Caos al posto della musica” in merito all’opera di Šostakovič Lady Macbeth di Mzensk. All’inizio degli anni Quaranta, il compositore di radici armene Aram Khachaturian sembra soddisfare le esigenze musicali e la Weltanschauung dell’Unione Sovietica. Vanta perfino origine proletarie. Il padre è rilegatore di libri, lui stesso studia a Mosca biologia, fisica e matematica, seguendo nel frattempo studi di violoncello presso il famoso Istituto Gnessin prima di passare al Conservatorio nella capitale sovietica. Dedica il suo concerto per violino del 1940 – nato come dichiara lui stesso “su un’ondata di felicità e di gioia” – al violinista David Oistrach, che in seguito lo eseguirà spesso. Melodiosa, virtuosa, esotica e ottimista: la prima registrazione discografica di Oistrach rende nota in tutto il mondo l’opera, già premiata con il Premio Stalin. Otto anni dopo la nascita del concerto, anche Aram Khachaturian rimane però intrappolato nelle insidie della politica culturale sovietica. Nel 1948, il Comitato centrale del PCUS condannerà la sua musica, defininendola caratterizzata da “tendenze antisovietiche” e “formalista”. Solo nel 1953 – dopo la morte di Stalin – il compositore sarà pienamente riabilitato. Quando Pëtr Čajkovskij inizia a lavorare alla sua Sesta Sinfonia, nel gennaio 1892, così descrive la nuova opera al nipote Vladimir Dawydow, a cui la sinfonia è dedicata e che più avanti sarà suo erede universale: “è una sinfonia programmatica il cui programma deve però restare un enigma per tutti – si spacchino pure la testa”. Dopo la prima assoluta, diretta da Čajkovskij stesso il 28 ottobre 1893 a San Pietroburgo, è il fratello Modest a proporgli di intitolare l’opera “Pathétique”. Una sinfonia misteriosa, ricca di abissi. È quanto testimonia anche una lettera del compositore al granduca Konstantin Konstantinowitsch: “Mi disturba un po’ che la mia ultima sinfonia sia pervasa da un’atmosfera che si avvicina molto a un requiem.” In occasione della prima esecuzione assoluta, il pubblico, sorpreso, non sa come reagire. Questa sinfonia che termina piano, quasi come un lamento, è da intendersi come testamento musicale? A fornire le risposte non può essere che la musica stessa. Čajkovskij morirà a Mosca nove giorni dopo la prima.
  • Helga Plankensteiner - Baritone sax, vocal Achille Succi bass - Clarinet Glauco Benedetti - Sousaphone Michael Lösch - Piano Marco Soldà - Drums Dopo gli innumerevoli successi del progetto dedicato a Jelly Roll Morton portato in giro per L’Europa, la band fa un passo avanti e presenta nuove elaborazioni del repertorio del grande pioniere del Jazz ma anche brani originali ispirati dalla fantasia del pianista di New Orleans. Art Directors: Michael Lösch & Helga Plankensteiner Il concerto comincia alle ore 21.30 al Laurin Bar. Supplemento di 12 euro sulla prima consumazione a partire dalle 21:00. Info e prenotazione tavolo: Laurin Bar, T 0471 311 570

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