Riccardo Zadra, pianista, docente e formatore
Intervista al poliedrico concertista bolzanino esperto nel potenziale umano
Abbiamo incontrato il pianista bolzanino Riccardo Zadra, concertista e docente di pianoforte presso il Conservatorio di Vicenza. Esperto nel campo del potenziale umano, è anche autore di un volume concernente questo tema, espressamente dedicato ai musicisti.
Parlaci del tuo incontro con la musica... e con il pianoforte.
L’incontro con la musica è avvenuto prima che iniziassi a suonare. In casa giravano dischi (in vinile ovviamente!) con cantanti dell’epoca (Mina, Milva, Celentano…) e parecchia musica classica, da Bach a Wagner, e mi piaceva ascoltare di tutto. Quando ho iniziato le prime lezioni di pianoforte, a 10 anni, non posso dire di esserne subito stato entusiasta: troppi esercizi, solfeggio, scale… Ma una volta superato il primo impatto, è nata abbastanza presto la passione, e sin dai 12/13 anni ho cominciato a passare gran parte del mio tempo libero sullo strumento.
Quali maestri sono stati determinanti nel tuo percorso formativo di pianista?
Mi ha sempre affascinato conoscere modi diversi di affrontare la musica e il pianoforte, e credo di aver tratto qualcosa da ognuno dei tanti preziosi incontri fatti. Lydia Conter, insegnante del Conservatorio di Bolzano, mi ha aperto con la sua passione le porte del mondo musicale e del pianoforte, fino al diploma. Con Antonio Ballista l’incontro è sfociato in un sodalizio artistico e in una vera e propria amicizia. Aldo Ciccolini non solo ha seguito la mia formazione da giovane pianista, ma ha poi anche contribuito come presidente onorario e docente alla Accademia pianistica di Padova, che ho fondato in seguito con mia moglie, Federica Righini. Un ricordo particolare va a Fausto Zadra, pianista e musicista dal talento vertiginoso. Le sue lezioni alla Scuola di perfezionamento a Losanna, oltre a tramandare le grandi scuole pianistiche ereditate da Vincenzo Scaramuzza e Carlo Zecchi, erano sempre fonte di ispirazione molto alta. Accendevano le emozioni, le intuizioni e la creatività, erano improntate all’idea che ogni talento è diverso dagli altri, e tendevano a sottolineare il valore della collaborazione tra musicisti assai più che quello della competizione.
Chi è il tuo compositore preferito?
Ne ho troppi per poterne nominare uno!
Quali sono gli autori che preferisci interpretare nei tuoi concerti?
Amo molto il repertorio per trio, ho fondato l’“Hèsperos Piano Trio” con due fantastici colleghi, Filippo Lama e Stefano Guarino, con i quali suonare è la cosa più naturale del mondo. Il sodalizio artistico con Federica mi ha permesso di esplorare un altro repertorio che adoro, quello del duo pianistico, che spazia dalla “Hausmusik” a quattro mani (soprattutto Schubert) fino al repertorio a due pianoforti, di carattere più sinfonico. Come solista, mi trovo a particolare mio agio con alcuni autori, come Debussy - di cui ho suonato l’integrale pianistica - o Chopin, che continua ancor oggi a sorprendermi per il modo in cui riesce a far sgorgare, quasi magicamente da “sotto le dita”, il suo originale linguaggio armonico. Mi piace spaziare nella vastità immensa del repertorio. Negli ultimi due anni ho lavorato molto su Scarlatti: la sfida di “trasportare” al pianoforte l’infinita libertà creativa ed espressiva delle sue Sonate, nate originariamente per clavicembalo, è molto stimolante.
Oltre ad essere concertista e docente di pianoforte, sei anche un saggista e un formatore: come nasce questa tua attività?
È iniziata ancora alla scuola pianistica di Fausto Zadra, dove ho conosciuto mia moglie Federica e con la quale abbiamo sempre condiviso questa passione. L’incoraggiamento a sviluppare le doti individuali e personali di ognuno ci ha fatto capire che tutti abbiamo sempre un potenziale superiore a quello che esprimiamo. Questo ha dato il via ad un cammino di ricerca nel mondo delle discipline che mirano alla conoscenza e alla gestione di sé, partendo dal nostro corpo fino al funzionamento della nostra mente e al potere creativo dei nostri pensieri. La ricerca ha avuto poi un suo punto di arrivo nella pubblicazione del nostro libro Maestro di te stesso, edito da Curci, che dopo 13 anni è ancora un unicum nel suo genere e continua ad essere regolarmente acquistato e letto, anche da non musicisti.
Nei tuoi corsi per musicisti proponi dei metodi formativi che si rifanno a varie correnti del “potenziale umano” e simili. Quali tra questi ritieni fondamentali per la tua formazione e perchè?
Sono tanti i percorsi esplorati e ognuno ha lasciato qualche segno importante. I percorsi di consapevolezza corporea, come il metodo Feldenkrais, l’Integrazione posturale, e molti altri, mi hanno fatto capire che il nostro corpo è una meraviglia che non si smette mai di scoprire e che questa conoscenza è possibile realmente solo attraverso un costante e graduale sviluppo della nostra auto percezione. Molti musicisti scoprono il loro corpo solo quando inizia a farsi sentire con dolori, problemi, malattie, quindi spesso molto tardi. Il corpo è il primo vero strumento che “suoniamo”, che mettiamo in vibrazione. Solo attraverso i sensi, il gesto, il movimento, l’energia del corpo, possiamo percepire i suoni, entrare in risonanza con la musica, esprimerla e comunicarla. Altri percorsi, come la Programmazione Neurolinguistica, mi hanno indirizzato verso una maggiore comprensione del funzionamento della mente e dei processi comunicativi, verbali e non verbali. Ma l’esperienza sicuramente più significativa, che ancora oggi è parte della mia vita - e che contribuisco a trasmettere come istruttore - è stata il percorso Avatar®, fondato da Harry Palmer, un training della coscienza diffuso in tutto il mondo. In modo semplice e profondo accompagna negli strati più profondi della coscienza e permette di “sentire” esperienzialmente (non solo concettualmente) come, in fondo, siamo i creatori della nostra personale esperienza di vita. Un concetto antico, che affonda le sue radici nelle grandi culture antiche occidentali e orientali, e che oggi sta ritornando alla luce persino nell’ambito rigoroso della scienza. Come dice il grande Federico Faggin, inventore del microprocessore, nel suo libro Irriducibile, “La natura dell’osservatore scientifico - che si limita a fare misurazioni accurate rimanendo distaccato e spassionato – è diversa dall’osservatore che “conosce vivendo”. Il secondo partecipa - pancia, cuore e testa - alla creazione della realtà che osserva. E, in quanto tale, sa di essere responsabile della sua esperienza”. Penso che questa sia una prospettiva utile e preziosa non solo per i musicisti, ma per ogni essere umano, su un piano individuale e collettivo.
[Gregorio Bardini]