Il pianista che insegna e scrive libri
Intervista ad Alberto Fassone, docente al Conservatorio “Monteverdi”
Alberto Fassone è un musicologo torinese docente presso il Conservatorio “Claudio Monteverdi” di Bolzano.
Studioso di fama del mondo musicale austro-tedesco a cavallo tra l’800 e il ‘900, oltre che dell’interpretazione dei grandi direttori d’orchestra, ci ha concesso questa interessante intervista.
Qual è stato il suo primo approccio con “l’arte di Euterpe”?
Mio padre era un appassionato di musica, frequentava i concerti e possedeva una piccola discoteca… Da piccolo ascoltavo volentieri i suoi dischi. Ricordo le registrazioni delle nove Sinfonie di Beethoven di Renè Leibowitz, della Sinfonia Incompiuta, di Eine kleine Nachtmusik di Mozart che mi conquistarono completamente. Il ramo bergamasco della mia famiglia, quello materno, era invece un ramo di musicisti. Mio bisnonno era diplomato in pianoforte, organo e composizione e aveva a Bergamo una piccola fabbrica di armonium di successo, al punto che ricevette un’onorificenza firmata da Giuseppe Verdi. Altri due o tre appartenenti a questo ramo possedevano un diploma di Conservatorio per cui, se la genetica ha la sua importanza, credo che possa aver svolto un ruolo nella mia vocazione musicale. Verso gli 11 anni ho iniziato a seguire i concerti e a studiare privatamente pianoforte, in seguito ho intrapreso anche lo studio della composizione, fino al diploma di Conservatorio in pianoforte e all’esame del VII anno di composizione.
Come sono proseguiti i suoi studi musicali?
Dopo il liceo ho studiato Storia della musica e altre discipline musicologiche alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino sotto la guida di Giorgio Pestelli. Ho continuato per un po’ a suonare il pianoforte anche dopo il diploma, perfezionandomi con Sergio Verdirame, pianista e docente eccezionale, allievo di Arturo Benedetto Michelangeli, un musicista che mi ha formato e che mi ha influenzato molto, in particolare per il suo rigore e per la sua serietà. In seguito ho deciso di dedicarmi esclusivamente agli studi musicologici, ricevendo quindi una borsa di studio per Monaco di Baviera, dove ho lavorato negli anni 1990-93 alla mia monografia su Carl Orff.
Qual è il primo compositore che ha approfondito?
Richard Strauss, in occasione della mia tesi di laurea che, grazie a Giorgio Pestelli, portò alla pubblicazione del mio primo libro, Il linguaggio armonico nel Rosenkavalier di Richard Strauss, edito nel 1989 da Passigli (Firenze) e sponsorizzato dalla De Sono di Torino, collana tutt’ora esistente che pubblica tesi di laurea provenienti da tutt’Italia. Era già definito così sin dall’inizio l’ambito che mi sarebbe stato proprio: la tradizione musicale austro-tedesca. Da Strauss sono poi passato a Orff e, grazie a diverse borse di studio, una delle quali del CNR (Roma), ho trascorso molti mesi a Monaco come ricercatore. Dopo Orff è stata la volta di Bruckner, ma solo in senso musicologico, giacché l’amore per Bruckner c’era già e da tanti anni.
È forse Bruckner il suo compositore preferito?
Dire qual è il mio compositore preferito è difficilissimo, quasi impossibile. Ma se fossi proprio costretto risponderei Bach, sul quale comunque non ho mai scritto né, almeno credo, scriverò mai una riga. Bruckner lo amo moltissimo, come tutti i compositori di cui mi sono occupato. Forse è quello che amo di più tra quelli che ho studiato e che ancora studio. Amo, ad esempio, la musica di Mahler, pensiamo ai suoi meravigliosi Lieder o alla Quarta Sinfonia, che tutti amiamo; a Mahler ho dedicato un volume, pubblicato nel 2015 dalla LIM, ma non ho per la sua musica il trasporto, l’affinità elettiva che provo per quella di Bruckner… Basti pensare, oltre alle sue Sinfonie, alla sua produzione sacra, alle tre grandi Messe, al Te Deum e ai Mottetti. Mahler è stata un’acquisizione, non un amore a prima vista come è accaduto con Bruckner, direi una conquista tarda.
Nelle sue ultime pubblicazioni si è occupato soprattutto dell’interpretazione dei grandi direttori d’orchestra…
Sì, nel 2019 ho dato alle stampe un corposo volume di saggi di vari autori su Herbert von Karajan e l’anno scorso (2023), un libro su Wilhelm Furtwängler. Ora sto lavorando molto su Sergiu Celibidache e sulla sua incredibile fenomenologia musicale. Penso che questo sarà il tema che mi terrà occupato nei prossimi anni.
A parte l’ambito musicale austro-tedesco, si è occupato di altri studi?
L’unica breve “scappatella” al di fuori di tale ambito è stato uno studio sul Futurismo che mi commissionò il musicologo trentino Antonio Carlini nell’ambito delle celebrazioni del 2009 su questo movimento musicale italiano. È stato uno studio interessante. Considero ad ogni modo il Futurismo come fenomeno culturale più affascinante dal punto di vista concettuale, nell’ambito delle arti figurative e della letteratura, che non per gli esiti musicali.
I suoi maestri in ambito musicologico?
Sicuramente il mio professore Giorgio Pestelli. Oltre al rigore particolare, mi ha insegnato a considerare la musica non solo in senso tecnicistico, ma anche ad approfondirne i legami con la letteratura, col pensiero e la cultura in generale. Poi Carl Dahlhaus con la sua opera, che per me è stata ed è tutt’ora una lezione di rigore metodologico, congiunta con un’apertura a 360 gradi nei confronti delle altre discipline, dalle arti alla filosofia.
Quali sono i filosofi che ritiene fondamentali in quanto musicologo?
Certamente Platone e Aristotele, seguiti da Kant. Ultimamente anche l’ermeneutica filosofica di Gadamer ma anche la fenomenologia di Husserl, in relazione soprattutto ai miei studi sull’approccio alla musica di Celibidache. Sono anche un appassionato lettore di testi teologici, dei mistici occidentali come ad esempio Meister Eckart, Silesius o San Giovanni della Croce, autori che a loro volta mi riportano ancora una volta a Celibidache, convertitosi negli anni Trenta del secolo scorso, a Berlino, al Buddhismo Zen, sotto la guida di Martin Steinke, divenuto monaco buddhista, e ai suoi vastissimi interessi per i metafisici di ogni latitudine.
[Gregorio Bardini]