Alla ricerca del museo vivente del cinema
Natalino Bernato lancia un appello per sostenere il suo Ciné Museum
Dedicare uno spazio museale alla Settima Arte, senza nemmeno voler fare una dispendiosa concorrenza al Museo Nazionale del Cinema ospitato nella Mole di Torino, significa accendere una “lampada eccitatrice” sulle memorie sepolte di una città, sulla microstoria delle persone che la popolavano quando i cinematografi erano in auge e le cineprese iniziavano a diffondersi nelle case per immortalare momenti importanti della vita in famiglia, dalle ricorrenze con i parenti lontani alla villeggiatura.
L’idea è chiarissima nella mente di Natalino Bernato, deus ex machina del Ciné Museum di via Kravogl 8 a Bolzano (mar/mer/ven/sab dalle 9.30 alle 12 e dalle 15 alle 18), una vita dedicata al cinema prima come operatore e poi come gestore di sale, oggi collezionista e restauratore di mirabilia, pesantissimi proiettori abbandonati dai vecchi impresari in crisi o perché soppiantati dal digitale, moviole e giuntatrici per la postproduzione, cinquecento pellicole originali di grandi titoli, locandine, costumi, modelli di scenografie, macchine per girare i cartoni animati, ma rimane un po’ confusa per gli arcigni assessorati alla cultura della Provincia che sinora non ci hanno investito certo tanto, al punto da ingenerare nel suo curatore la sempre più ricorrente voglia di offrire la sua creatura ad altre realtà territoriali più lungimiranti. E sì che localmente il potenziale ci sarebbe tutto per un’agiata sinergia tra scuole di cinema, film commission, licei e istituti tecnici tanti gli aspetti implicati dalla produzione di una pellicola, promotori culturali, musei di storia contemporanea per nuove realizzazioni filmiche e ripristini del loro archivio in celluloide, per far rivivere una sala d’essai duttile nel corroborare la sensibilizzazione e il pensiero su temi d’attualità con rassegne dedicate alle nuove generazioni, per familiarizzare manualmente con uno strumentario di lavoro ancora prezioso per molti grandi registi.
Natalino Bernato, come sarebbe il museo ideale del cinema che insegue?
Un “museo vivente” che, grazie a Claudia Lanteri di Slow Tourism Alto Adige e a un programma creativo dell’UE, è un po’ quello che stiamo sperimentando con una quindicina di ragazzi, perché oltre alla sua funzione museale possa assumere quella di un centro di innovazione e inclusione per tutti i soggetti interessati alla cultura dei più disparati settori. Abbiamo già iniziato con una scuola spiegando il funzionamento del cinema, anche quello digitale ovviamente, poi vedremo come si allestisce un set. Abbiamo in mente un museo completamente diverso da tutti gli altri e che molti ci copieranno. Uno dove possano lavorare fino a quattro persone e il visitatore non si senta mai abbandonato ma trovi sempre una guida autorevole, come dovrebbe accadere in tutte le strutture rientranti nell’Associazione provinciale dei Musei di cui facciamo parte e che contribuisce alla nostra esistenza. Non siamo privati collezionisti, veniamo tutti dal cinema, tv o teatro come il mio socio Alessandro Di Spazio, e conosciamo quel mestiere tanto da poterlo trasmettere a chi ne abbia l’interesse. Mica ci improvvisiamo come tante associazioni culturali, pur essendo a esse favorevoli e aiutandole con macchine da proiezione, schermi e persino le sedie per i loro spettacoli, ma noi abbiamo attivamente collaborato negli anni alla realizzazione di sessanta film. Esposta così com’è adesso però la collezione non dice niente...
Come operatore e gestore di sale che esperienza ha avuto?
Ho cominciato con il Cinema Costellazione a Bolzano, poi con il Sole di Laives dove già avevo in mente un prototipo di multisala allora sconosciuto in Italia, poi di nuovo nel capoluogo con il Concordia e in contemporanea ho preso l’Odeon a Merano, infine ho partecipato alla progettazione del Cineplexx.
Qualche particolarità tutta bolzanina nella storia del cinema?
Al Cinema Concordia fu usato per la prima volta in Italia il sistema Dolby di amplificazione della sala.
[Daniele Barina]