Settant’anni e tanta voglia di suonare
Il chitarrista Gianni Ghirardini celebra 50 anni di musica con diversi concerti
Compie settant’anni il mese prossimo e da dieci lustri calca i palchi della provincia e d’Oltrebrennero, quanto basta al chitarrista Gianni Ghirardini per celebrare la ricorrenza chiamando a raccolta per tre concerti speciali le quattro band di cui è stato membro fondatore.
Già consumatosi in marzo a San Giacomo il primo appuntamento con la sua storia, le prossime occasioni di vedere in una sola volta Incredible Southern Blues Band, Pangea, Mebo Trio e Déjavù, sono il 15 giugno nel suo paese natale Vipiteno e il 7 dicembre al Teatro Cristallo di Bolzano. Ispiratosi sin da giovane al bluesman americano Ry Cooder, acustico o elettrico che fosse, ha seguito il suo modello anche nella successiva passione per la ricerca etnomusicologica, come testimonia una notevole parte delle sue composizioni originali finite su cd.
Ti è capitato di avere momenti difficili in cui la musica ti è stata d’aiuto?
Mi è stata di enorme aiuto in momenti molto duri, dandomi supporto psicologico, conforto e gioia di vivere. Ed è proprio l’apprezzamento della vita e della sua bellezza che mi ha portato all’idea di regalarmi un compleanno memorabile, qualcosa di più della torta in compagnia e di un bicchiere di vino con gli amici, proprio considerato che la musica è quanto ci sia di più bello da condividere.
Delle quattro formazioni con cui sei stato e sei ancora impegnato, qual è quella dove senti di realizzare in modo più libero la tua creatività e la curiosità verso le musiche del mondo?
A livello compositivo senz’altro Pangea con Haifisch Heidegger e Jack Alemanno, già con me nell’Incredible e anche i più disposti al lavoro di ricerca sulla musica etnica di cui avvertivo l’esigenza, un trio poi ampliatosi con l’aggiunta di Max Castlunger e Gregor Marini per il Progetto Gianni Ghirardini&Friends, riassunto nel disco Waitin’ del 2008. Grazie a ospiti come Annika Borsetto e Pietro Berlanda abbiamo potuto esplorare I territori della musica irlandese o di quella indiana...
Musica indiana? Per caso quella con la quale il tuo mentore Ry Cooder aveva vinto il Grammy nel 1993 con Vishwa Mohan Bhatt per il cd Meeting by the River?
(ride) Ebbene sì, mi sono fatto plagiare da Cooder! In quel disco Mohan Batt suonava una chitarra, la Mohan veena, sviluppata da un progetto del compianto chitarrista Bhushan Kabra aggiungendovi però le corde di simpatia che non presentava. Ecco che insieme a Felice Bruni, suonatore di sitar con Mia Loto e all’occorrenza nei miei progetti, armati di martello, trapano, tenaglie, pinze, pezzi d’ebano e quant’altro, ci siamo messi a modificare chitarre fino a ottenerne di venti o ventidue corde. Dopo averne spaccate un po’, finalmente una superobusta da jazz di marca tedesca, regalatami da Manuel Randi e opportunamente infilzata con una barra da un centimetro, siamo riusciti a non farla piegare sotto la trazione di venti corde e a farla suonare davvero bene come una Mohan Veena. Poi abbiamo costruito anche una “chitarpa” che suona come un koto giapponese...
Degli altri due gruppi “minori” rispetto all’Incredible cosa racconti?
Déjavù è una tribute band che reinterpreta i pezzi di CSN&Y, nata da un’idea di Franz Zanardo e dove suono la chitarra oppure il dobro, mentre il Mebo Trio (con Rolando Biscuola alla chitarra e Manny Pardeller alle percussioni), esprime creatività soprattutto a livello chitarristico, con un picking più blues da parte mia e decisamente più “Windham Hill” da parte di Rolando, punto d’incontro le composizioni di Leo Kottke che in così pochi eseguono.
Con il tuo “primo amore” invece avete in vista qualche serata solo per conto vostro?
Con Incredible Southern Blues Band saremo il 19 maggio a Campo di Trens nell’ambito dei Blue Days di Vipiteno per una matinée, ma se ti riferivi alla chitarra il 14 luglio suono da solo a oltre 2200 metri d’altezza in cima al Patscherkofel, la montagna di Innsbruck che sarà interamente coinvolta in un festival blues.
Com’è che da giovane ti sei avvicinato proprio alla chitarra?
Perché mi è stata vietata! Mio padre diceva che avrebbe rappresentato una distrazione dallo studio, in quanto pur bravino a scuola m’impegnavo poco. A Vipiteno ci saranno state tre chitarre in tutto il paese e io andavo a casa di uno che ce l’aveva per imparare a suonare di nascosto. Poi un paio d’anni dopo mio papà, contento dei risultati scolastici riportati, mi disse che si partiva per Vicenza, la sua città d’origine, per comprare una chitarra da Jacolino, un negozio di strumenti musicali dove mi fu messa in mano una Eco Studio da 9.900 lire che io, lasciandolo sbigottito, cominciai a suonare sotto i suoi occhi.
[Daniele Barina]