La band ispirata dalle profezie di Orwell
I bolzanini di “Psicopolizia” sono tornati a suonare dopo una ventina d’anni
In un mondo ipertecnologico che tende vieppiù ai totalitarismi, revisionista della storia e del linguaggio, oltre che negazionista della realtà in cui vegeta, ritorna drammaticamente d’attualità il capolavoro di George Orwell “1984”, dove tre superpotenze amministrano il globo con dicasteri dai nomi ingannevoli: il Ministero della Pace presiede alla guerra, quello dell’Amore è incaricato della sicurezza, quello della Verità è preposto alla propaganda e a riscrivere il passato, quello dell’Abbondanza sovrintende all’economia.
Con il romanzo fantapolitico divenuto neorealista, ha avvertito l’urgenza di riproporsi al pubblico anche la band bolzanina che una ventina d’anni fa a esso s’ispirò, Psicopolizia, con una reunion nel capoluogo che l’ha portata il mese scorso a calcare il palco del Sudwerk. Emanuele Zottino alla chitarra e al synth, Pietro Frigato alla voce, Andrea Lo Vetro al basso, Paolo Seppi alla batteria, sono tra i protagonisti del nucleo originario del gruppo cui ora si è aggiunto il chitarrista elettrico Davide Ferrazzi, i primi due a rispondere alle nostre domande.
Tempo di riunioni per vecchi sodalizi, da Simon & Garfunkel ai Cure: uscire dal passato mai?
E.Z.: Ci siamo rimessi insieme perché siamo tutti ancora vivi e in piedi, un po’ disillusi rispetto agli inizi ma l’idea di ritrovarci anche umanamente piaceva e ci siamo detti se non ora quando? Ci siamo accorti che in realtà, specie per le tematiche dei testi, il progetto era ancora più attuale di prima e che le ansie e le paure alla base delle composizioni di diciotto anni fa si erano tutte concretizzate, ancor di più di quanto potessimo immaginare. E così abbiamo messo in repertorio due pezzi nuovi e tre inediti delle origini, con l’intenzione di metterli in Rete e la vana speranza di uscire in qualche modo al di fuori del nostro ambito territoriale.
Vana perché in Italia non c’è più gusto a scrivere cose intelligenti?
P.F.: Anche quando abbiamo vinto nel 2018 a Milano il Rock Targato Italia per il miglior disco dell’anno, gli effetti poi sono stati impalpabili. Ritirando il premio, nel mio discorso ho sottolineato che non ero un cantante, non vantavo alcuno studio al riguardo e invece avevo approfondito le scienze sociali e l’economia, dunque che la possibilità di scrivere testi significativi fosse legata proprio al fatto di essere un non-cantante e che viceversa l’esserlo avrebbe comportato la cura della voce ma l’incapacità di comporre testi che avessero un senso dal punto di vista sociale o che non fossero prevedibili, cretini o patetici come quelli di certi personaggi finti della scena musicale che io non sopporto.
Cosa di loro non apprezzi in particolare?
P.F.: La falsa positività, il proporsi ai giovani in modo superficiale, sono l’effetto di poche e cattive letture, dell’incapacità di analizzare anche minimamente la realtà che ci circonda, al di là del loro essere piacioni e ammanicati col sistema, proprio per vuotezza interiore. Pensiamo invece a Battiato, Gaber, Ciampi o Battisti, alla loro capacità di non avere necessariamente derive intimistiche e di saper uscire dallo schema di te che vivi il tuo disagio con il tuo punto di vista particolare e la tua sensibilità spiccata. Anche i Massimo Volume, che pur mi piacevano, o i CCCP di oggi, li ho visti latitanti sul quadro attuale, rispetto al “verranno al contrattacco con elmi e armi nuove ma intanto adesso curami”: mi chiedo, quelli sono già qui e voi state zitti?
“Psicopolizia” pare un nome profetico, con le tecnologie per noi ormai essenziali che ci profilano di continuo ma anche pensando a certa propaganda politica: a cosa v’ispiraste nella scelta?
P.F.: Alla Tought Police di orwelliana memoria e al libro 1984 si devono il nome del gruppo e canzoni come Psicopolizia o Bipensiero. Nel 2007 avevo anche letto il sociologo Luciano Gallino che già parlava del data mining e del fatto che l’estrazione di dati sarebbe diventata un commercio, incrociando un po’ le tematiche con quelle di Orwell. Il bipensiero (ndr.: il credere simultaneamente a due affermazioni tra loro contrarie) è ormai totale, al punto che io ora capisco le cose solo rovesciandone i termini in cui sono proposte, con il Ministero della Salute che va inteso come della Malattia, i discorsi di pace come dichiarazioni di guerra, ciò che è detto ecologico come non ecologico. è in atto una manipolazione dei concetti che porta all’impossibilità di sapere la verità, anche per la possibilità di produrre audio, foto o video totalmente fasulli ma tecnicamente non distinguibili da quelli reali. Pensiamo all’amore ai giorni nostri, un sentimento pericoloso per cui ogni giorno muore o va in depressione gente e che ha condotto l’industria allo sviluppo di biotecnologie anti-amore e noi a scrivere la nostra nuova Solitary Cyborg, ispirata a Solitary Man di Johnny Cash.
Musicalmente a chi s’ispirano le composizioni del gruppo autodefinitosi di psychedelic punk?
E.Z.: La cosa bella è che ciascuno porta le sue influenze musicali nella composizione senza che ci sia un modello comune. Io, per esempio, vengo dalla musica minimale che è anche quella che mi ha maggiormente arricchito nel processo creativo. Mi piace la chitarra poco virtuosistica e poco rock di Johnny Marr di The Smiths, mai affetta da machismo e con un uso dei minori non drammatico e pesante ma dolcissimo o frizzante. A Pietro mi risulta piaccia Nick Cave…
P.F.: Vero, e anche blues, blues-rock, new wave. Ora che strimpello seppur da schifo ho apprezzato molto le chitarre dei primi Simple Minds su Real to real cacophony, a blocchi modulari molto intelligenti e con una grande attenzione ai suoni, un po’ come vorrebbero essere le chitarre degli Psicopolizia con le reiterazioni di Emanuele nelle quali s’incastra con appena maggiore libertà l’altra chitarra di Davide.
Daniele Barina