La rinascita della musica sudicia
La cover band Grunge Pit propone il sound di Pearl Jam e Smashing Pumpkins
A metà degli ’80 la scena di Seattle e in particolare l’etichetta Sub Pop segnano il Rinascimento del rock che, irretito dalle sirene della digitalizzazione e dalla voglia di leggerezza indotta dalla Reaganomics, stava allontanandosi dallo spirito ribelle dei padri.
Nasceva il grunge (da grungy, aggettivo gergale per sudicio e ripugnante), da un coacervo di passioni per generi già commercialmente desueti come l’hard rock e il punk che però non disdegnava la melodia di stampo pop o la country ballad, una musica capace d’intercettare l’inedito malcontento sociale della classe bianca immiserita dalle politiche economiche del governo. I suoi figli non nutrono più sogni collettivi, non contestano, guardano in modo abulico al loro stesso malessere, ascoltano garage band non ancora contemplate dall’industria discografica, vestono come Neil Young, si disinteressano alla politica, si ricompattano solo davanti a chi sa interpretare la loro inazione in forme poetiche, nuove realtà musicali come Nirvana, Soundgarden, Alice in Chains o Pearl Jam, solo quest’ultimo gruppo ancora in attività. Fa un po’ strano pertanto che, trent’anni dopo quest’epopea, a Bolzano si sia formato un complesso, Grunge Pit il suo nome, col preciso intento di rinverdirne i fasti.
Il perché ce lo facciamo dire da uno dei due chitarristi della cover band, il bolzanino Adriano Esposti, in rappresentanza anche degli altri suoi sodali, il batterista bellunese Matteo Crema, il chitarrista brissinese Josè Ramòn Gorret, il bolzanino Sergio Santuari che suona il basso, il cantante fiorentino d’origine Filippo Favilli.
Adriano, vi sentite più la miniera del grunge o più la fossa dov’è andato a morire?
Bella domanda, grazie per entrambe queste immagini (ride ndr). Diciamo che il nome Grunge Pit è nato un po’ per scherzo, pensando alla fossa dei leoni che c’è sotto il palco, quella dove stanno gli esagitati, certo preferibile al doverci pensare come una fossa dove la musica grunge è morta e sepolta, anche perché sta vivendo un grande rilancio. Solo il grunge degli anni Novanta mi pare un capitolo chiuso che è improbabile ritorni in quella forma, anzi come diceva Chris Cornell, il grunge non esiste. Sono state le case discografiche a provare a dare un’etichetta a quello che era comunemente inteso come alternative rock. Essere “miniera” invece mi piace, sa di riscoperta e di andare a scavare le pepite del periodo, pezzi e gruppi meno conosciuti, magari seminali all’epoca come Mind Funk, Screaming Trees o Bush, per non fare solo hit.
La vostra è una scelta dettata dal gusto, puramente estetizzante o anche empatica verso la filosofia grunge, verso il modo d’intendere la vita che quel movimento incarnava?
Sicuramente non si era appassionati solo della musica ma anche del pensiero “politico”, in particolare la non condivisione degli ideali di guerra e di supremazia di un popolo contro un altro che tuttora ci accompagna. I testi erano in linea con le nostre idee e noi in linea con il messaggio che i grandi dell’epoca diffondevano. Io poi all’epoca ero più metallaro, altri propendevano per hardcore o punk californiano, abbiamo tutti diverse influenze però il grunge è stato il minimo comun denominatore che ci ha legati.
I ragazzi degli anni Novanta in che cosa pensi fossero diversi da quelli di oggi, sempre che lo fossero?
Siamo tutti della decade dei Settanta, dunque eravamo grandicelli nei Novanta, insomma non proprio dei ragazzini. Detto questo, non penso che i problemi fossero gli stessi di oggi, incominciava a profilarsi la questione ambientale ma non se ne sentiva l’urgenza che avvertiamo adesso. Così la tematizzazione dei problemi sociali era, a parte l’atavico divario tra ricco e povero, ancora molto sfumata. Al di là dei luoghi comuni vedo giovani tanto appassionati cui l’universo adulto dovrebbe dare più ascolto anziché considerarli degli svogliati rapiti solo dal loro cellulare, prova ne sia che hanno ripreso a scendere in piazza.
Che pubblico arriva ai vostri concerti? Ho visto che la gente poga...
La cosa ci ha stupito e resi enormemente felici! Ci si è sbloccato il ricordo di quando andavamo noi ai concerti e il “pogo” la faceva da padrone. Abbiamo un pubblico molto variegato che per età va dal diciottenne al cinquantenne nostalgico del grunge.
All’interno della galassia “alternative” quali gruppi sono i vostri prediletti e su quali basate principalmente il repertorio?
Il progetto era nato inizialmente come un tributo ai Pearl Jam, poi con i nuovi innesti della band come Filippo Favilli che è vocalmente più flessibile ci siamo potuti permettere di affrontare altri nostri miti come Alice in Chains, Soundgarden, Stone Temple Pilots, Foo Fighters o The Smashing Pumpkins.
Prossime esibizioni in programma?
Il 7 agosto siamo a Noriglio in Vallarsa per la festa del paese, il 10 saremo al Pub Officina 27 di Levico Terme, il 14 al lido di Chiusa. Ci ha poi fatto piacere essere contattati da una piccola casa discografica francese per partecipare a una compilation, un tributo al gruppo storico americano dei Mind Funk cui offriremo una nostra versione di un loro pezzo.
[Daniele Barina]