“I bambini del bosco”, storia di contrabbando
Il nuovo romanzo della scrittrice meranese Romina Casagrande
Il bosco come metafora, come ventre in cui le vite prendono forma. Spazi infiniti in cui la natura domina incontrastata, tinte forti. Sfumature tenui, donne che conquistano la loro libertà. Ne “I bambini del bosco” (ed. Garzanti), Romina Casagrande ci conduce alla scoperta della storia delle contrabbandiere che, solo qualche decennio or sono, attraversavano coraggiosamente i valichi delle nostre montagne, rischiando la vita per poterla vivere in pienezza. Incontriamo l’autrice meranese per scoprire a volo d’uccello l’umanità che anima il suo bosco.
Parliamo di parole.
Le parole sono per me importantissime, perché scrivo ed insegno. Sono uno strumento per entrare in comunicazione, non solo per trasmettere conoscenze o veicolare storie. Mi affascina l’etimologia, perché permette di scoprire cosa c’è dietro ad ogni parola, comprendendone anche il “peso” e l’importanza.
Ne I bambini del bosco assume una particolare rilevanza il concetto di perdita/smarrimento.
La crescita nasce dalle lacerazioni, dalle ferite; dal caos nasce l’ordine. Sono queste le basi per la costruzione di ogni identità: noi che viviamo in una zona di confine lo sperimentiamo in maniera particolare, anche se, in realtà, è questo un fenomeno che interessa tutti gli esseri umani. I protagonisti del libro - per buona parte dello svolgimento - sono adolescenti che si trovano nell’età in cui tutto è vissuto all’ennesima potenza, senza mezze misure. Sarà il passare degli anni ad insegnare loro che esistono anche le sfumature e che può essere necessario accettare dei compromessi. Venendo al giorno d’oggi, non possiamo non pensare al senso di smarrimento che la pandemia ha suscitato in tutti noi, ma dobbiamo riconoscere che questo momento ci ha dato la possibilità di soffermarci a riflettere.
La storia dell’Alto Adige è sicuramente ricca di ispirazioni, ma anche di “emergenze”. I libri che scrive sono quelli che si augura di leggere o quelli che sente il bisogno di scrivere?
Quello della scrittura è per me un processo saldamente legato all’istinto e all’emozione. Ogni personaggio porta in sé svariati mondi, che si confrontano con quelli degli altri personaggi all’interno di una narrazione. Lo scrittore è per prima cosa il lettore di se stesso, perché nel rileggere ciò che ha scritto giudica il proprio lavoro. Scrivere è un lavoro, oltre che un’arte, perché richiede studio, ricerca, metodo, pazienza nella riscrittura, senza avere la garanzia che il lavoro fatto sfoci in una pubblicazione. Un’attività così faticosa e razionale può trovare sostegno solo in un grande coinvolgimento emotivo. Ci sono delle tematiche che sento forti dentro di me e tra queste c’è sicuramente quella del confine e del vivere più appartenenze.
Sono donne le vere protagoniste del suo romanzo. Cosa le accomuna?
La storia si svolge tra le montagne, un ambiente tradizionalmente maschile in cui la forza e il coraggio sono requisiti fondamentali. Le donne de I bambini del bosco affrontano questo contesto unendo alle doti maschili un istinto e un legame con la natura che è spiccatamente femminile. Alla base di ciò si trova una tradizione culturale che affonda le sue radici nel concetto di Madre Terra, per il quale sussiste una certa vicinanza agli elementi naturali e una comunicazione con la Natura che conferisce potere e spiazza la società.
A quale personaggio va la sua personale simpatia?
In tutti i personaggi c’è qualcosa di chi li ha creati e, per quanto mi riguarda, mi ritrovo molto in Luce, adolescente ribelle alla ricerca di se stessa. Ho però una grande simpatia per il personaggio secondario di Katharina, una donna molto legata ad una ritualità antica, esperta del potere curativo delle erbe. Ella si trova ad essere vittima, ma, con un gesto estremo, saprà esercitare il suo desiderio di essere padrona del proprio destino. Accompagnarla nel suo percorso, tratteggiandolo a pennellate, mi ha coinvolto emotivamente molto.
Scrivere è una forma di ribellione?
La scrittura è un atto di libertà. Il desiderio di far parlare voci che la storiografia ha fatto tacere è un’opportunità che mi fa felice. L’ho fatto con I bambini di Svevia, che tratta di un fatto pressoché sconosciuto sia in Italia sia in Germania, e con le contrabbandiere di questo mio ultimo libro. Di loro parlano le memorie orali, perché molto amate nei paesi grazie alla loro capacità di rompere uno schema che le vedeva relegate alla vita domestica. Le “mie” donne uscivano la notte per attraversare le montagne e i confini, sfidando la polizia di frontiera, i pericoli e la fatica. Non si tratta di invenzioni, ma di personaggi veri di cui troviamo testimonianze negli archivi.
Il contrabbando nasce quando le leggi o le condizioni economiche limitano la possibilità di acquisto. La pandemia ha imposto grandi limitazioni alla nostra vita sociale. Cosa abbiamo bisogno di contrabbandare al giorno d’oggi?
Ho vissuto questo periodo “in trincea”, perché, come insegnante, ho toccato con mano la sofferenza degli adolescenti. Credo che ci sia un assoluto bisogno di coraggio, di ascolto, di solidarietà e di capacità di rompere gli schemi. In questo ultimi anni l’egocentrismo e il narcisismo sono stati tra i sentimenti dominanti, ora abbiamo bisogno di gentilezza e per essere gentili, spesso, ci vuole coraggio.
[Mauro Sperandio]