NUOVO ALBUM IN VISTA PER IL RAPPER NARDO DEE
Si chiamerà “Meglio di prima” - In rete il primo brano: “Birrette Possetrack III”
In assenza d’impegni on stage, il rapper bolzanino Nardo Dee (alias Davide Nardella) delizia i propri affezionati con reunion in Rete della crew Birrette Family III, insieme a Drimer, Big House, Compless, Scream, ma soprattutto con annunci di anteprime tardo-estive del suo nuovo album “Meglio di prima”, registrato a Lavis con mix e mastering di Big House Casagrande e del producer bresciano Nost Nolli, pieno di tutte le sonorità diverse che ne hanno accompagnato la crescita.
Poco più che trentenne, Nardo Dee dice di essere arrivato a questa forma espressiva per insicurezza, come molti nel rap.
Non pensi mai di trovarti nel Paese sbagliato, l’Italia, nella città sbagliata, Bolzano, per fare rap?
L’Italia in realtà non esiste e anche qua io mi sento ancora turista. Con la scena tedesca faccio fatica a collaborare, ci ho provato con una rapper di madrelingua tedesca, ma ho dovuto cestinare la canzone, c’è una grande differenza culturale, qualcuno s’è messo a parlare di diritti sul pezzo, come se questo fosse un mestiere anziché puro divertimento: io dalla musica non ci ho mai cavato un euro...
Dunque di musica qui non si vive...
Gli unici soldi che faccio sono quelli di quando mi chiamano a mixare, i cento euro che ti allungano per un dj set con possibilità, a seconda del pubblico, d’intervenire dal vivo con i miei testi. Di rap e consolle quassù non ci campi: dove sarebbero i locali che mi danno da mangiare? Una volta suoni al Pippo, una volta al Sudwerk e poi? Ti passa anche la voglia. Porti sempre roba nuova ma vedi le stesse facce, ti confronti sempre con le stesse persone, non puoi far evolvere la musica che fai e nemmeno te stesso, se te la vivi solo con gli amici sei morto. Una volta c’era almeno la Halle 28, un bel contesto, un sacco di gente...
Cosa ascolti, mica trap vero?
Mi piace tutta la musica e vorrei fare radio. Ultimamente sono preso dal ritorno dell’indie italiano, con la trap ho un problema perché la parola d’ordine che mi hanno insegnato gli anziani quando mi accostavo all’hip hop è stata credibilità e a quella mi sento legato. Devi parlare di Bolzano, il genere che fai va contestualizzato nel posto dove vivi e ai suoi problemi, qui per esempio alcolismo, suicidi, barriere linguistiche, cemento: l’hip hop è in continua evoluzione sulle tematiche, mentre la trap se ne frega ed è tornata dove quello stava nei Settanta, basetta stupida e mega elettronica, senza troppe influenze di blues, di jazz, di suoni grassi, lo dico in senso positivo. Il rap va in quindici anni da 50 Cent che è un supermacho ai nuovi rapper che sembrano ragazze con la borsetta, fa parte del movimento e lo accetto, ma la trap italiana scimmiotta troppo quella statunitense e ha una scarsa credibilità.
Mi sembra tu abbia trovato una via naturale, non atteggiata, di dare voce ai tuoi testi: sbaglio?
La scuola di Bassi Maestro dice: se non hai la voce rauca non fare la voce rauca. Ai Colle der Fomento fa schifo il loro osannato primo album Odio Pieno dove c’erano cascati in pieno, lo so perché sono un cultore di storia dell’hip hop. Quando sono dietro a un microfono, metto in pratica gli insegnamenti che traggo da tanti artisti di genere e dai loro cd: il bello del rap è pensare che se t’impegni riesci a farlo anche tu con i mezzi che hai, cosa che non ti riesce con la Divina Commedia.
E questi sfondi che suonano ma non sono suonati da nessun musicista in pratica, non pensi ti limitino?
L’hip hop fa uso di sample. Prendi un disco, trovi un break, un campione che i discografici utilizzano, modificandolo e traendone una melodia. Non c’è una regola, l’importante è che il pezzo suoni: io cerco produttori con bagaglio musicale ampio che, se prendono un sample di tromba di un jazzista che amano, è perché hanno già chiaro in mente che sotto ci può stare una batteria che usava George Clinton. Parlando con queste persone capisci che non fanno mai le cose a caso, ma una volta non esisteva che i producer non usassero i propri drum kit, adesso ci sono i tight beat di pezzi famosi con i quali, in pratica, metti in vetrina a tuo nome una cosa altrui. Io so esattamente da dove arrivano i miei sample, poi se qualcuno vuol far diversamente faccia pure.
Qualcuno s’è urtato per l’ultimo video di Birrette Family: pistole, una Bolzano violenta lontana dal vero...
I gangsta rap non c’entrano, si tratta di un omaggio pulp a Quentin Tarantino voluto insieme a Claudio Zagarini. Il rap è anche questo, portare in scena le cose che ti piacciono. Guarda la break dance e dimmi se non è un mix di funk, James Brown, mosse di Kung Fu. Il video in questo caso non c’entra con la canzone, come noi non c’entriamo con il South Bronx dov’è nato l’hip hop alla fine dei ‘60, in un sostrato schifoso di macchine in fiamme, case senza servizi igienici o elettricità, bande di neri e portoricani che si sparano e alle quali la cultura hip hop ha dato un terreno meno cruento su cui rivaleggiare, a botte d’impianti sempre più belli o sfide di ballo. Io penso che anziché creare differenze tra comunità, qui a Bolzano il messaggio andrebbe interpretato nel senso di “facciamo vedere quante belle cose potremmo fare insieme”.
[Daniele Barina]