TSB, 70 anni di teatro in un ricco volume
Massimo Bertoldi ripercorre la storia della gloriosa istituzione bolzanina
In occasione della celebrazione dei settant’anni dalla fondazione del Teatro Stabile di Bolzano, il critico teatrale Massimo Bertoldi dà alle stampe un ricco volume che ripercorre - anche attraverso immagini, testimonianze esclusive e documenti d’epoca - la storia dell’istituzione bolzanina.
Incontriamo l’autore di Teatro Stabile di Bolzano - La storia, gli spettacoli, questo il titolo del libro edito da Electa, per sbirciare oltre il sipario di un racconto policromo e articolato.
Quali sono stati i criteri e le sorprese della sua ricerca?
È stata una ricerca lunga, affascinante e intrigante tanto è di quantità e di qualità il materiale di studio a disposizione, principalmente foto e rassegne stampa, ora consultabili nell’archivio online curato dal Teatro Stabile di Bolzano in occasione dei 70 anni. Sorprende la vitalità artistica e creativa di registi, attori e scenografi e i consensi di pubblico e di critica che il libro ripercorre nel suo sviluppo storico dal 1950 a oggi attraverso il fondamentale supporto scenografico e l’ausilio di altre fonti come la teatrografia con i titoli degli spettacoli e i loro interpreti, le rispettive locandine, la bibliografia e l’indice dei programmi di sala. Il tutto concorre a una visione completa dell’ente bolzanino.
Tra le province italiane, quella bolzanina è sicuramente atipica. Il Teatro che in essa è nato è cresciuto si può definire altrettanto originale? Perché?
Si presenta originale a partire dalla sua fondazione nel 1950, quando il sindaco Lino Ziller convinse Fantasio Piccoli e la sua compagnia girovaga “Il Carrozzone” a dare vita al secondo teatro stabile italiano dopo il Piccolo Teatro di Milano avviato da Paolo Grassi e Giorgio Strehler nel 1947. Ed è originale il suo obiettivo primario: colmare il vuoto culturale della città e del territorio e, nel contempo, sviluppare, in una prospettiva di convivenza con la comunità tirolese, identità e senso di appartenenza nella popolazione italiana allora fortemente eterogenea e poco radicata. Si tratta dell’espressione di un “teatro di frontiera” declinata nel confronto con il teatro tedesco saldamente presente nel repertorio storico. Basti ricordare, tra i tanti, Faust I di Goethe (regia di Piccoli), Elektra di Hofmannsthal interpretata da una giovane Piera Degli Esposti, il ciclo di allestimenti di commedie di Bernhard avviato da Marco Bernardi, la sua regia di Anni di piombo dal film di Margarethe von Trotta e la messinscena de La rigenerazione di Svevo. Non solo: anche gli scrittori locali hanno avviato un percorso di “drammaturgia del territorio” che affronta il tema del “confine” inteso come luogo di incontro/scontro tra culture, etnie e mentalità diverse, come avviene nella nostra realtà. I contributi sono molti, tra i quali spiccano le commedie di Roberto Cavosi, Il racconto del Cermis di Pino Loperfido interpretato da Andrea Castelli anche autore con Antonio Caldonazzi di una trilogia dedicata al lavoro – dalle migrazioni trentine in Brasile, alla costruzione della fabbrica e borgo di Sinigo, dalle Acciaierie di Bolzano fino al Brattaro mon amour di Paolo Cagnan.
Classici e sperimentazione, proposte popolari e dotte: tra questi estremi, nella sua storia, come crede che lo Stabile si sia mosso?
Intorno a questi opposti percorsi drammaturgici lo Stabile ha definito il proprio profilo culturale. Consultando i repertori, soprattutto degli ultimi anni, si nota la compresenza ed emerge soprattutto la lettura dei classici in chiave contemporanea e sperimentale, come Medea di Euripide ambientata da Bernardi nella nostra contemporaneità oppure il recente Romeo e Giulietta di Babilonia Teatri, gruppo di ricerca, con due attori di tradizione come Paola Gassman e Ugo Pagliai.
Tra i tanti nomi illustri che hanno calcato il palcoscenico bolzanino, chi crede abbia lasciato più evidente la propria traccia?
Una sezione del libro è proprio dedicata ai 35 spettacoli storici dello Stabile. I nomi sono troppi, ma mi piace ricordare almeno Romolo Valli, Adriana Asti, Franca Rame, Mariangela Melato, che sono giovani attori cresciuti con Piccoli, e poi Mario Scaccia e l’Amleto moderno interpretato da Pino Micol, protagonisti di spettacoli di Maurizio Scaparro. Oltre alle sperimentali regie di Alessandro Fersen, spiccano i tanti attori impegnati da Marco Bernardi in 35 anni di attività, tra i quali risaltano Patrizia Milani, Carlo Simoni, Gianrico Tedeschi, Paolo Bonacelli, Corrado D’Elia, Fausto Paravidino, anche drammaturgo e regista. Nell’ambito dell’attuale direzione di Walter Zambaldi è doveroso ricordare soprattutto Paolo Rossi, Fausto Russo Alesi, Natalino Balasso e i musicisti Stefano Bollani e Paolo Fresu.
Un giudizio più giornalistico che storico: quali tratti definiscono l’operato dell’attuale direttore Zambaldi?
Zambaldi ha ereditato da Bernardi un teatro vivo e “sano” da tutti i punti di vista e tale lo mantiene, potenziandone la funzione pubblica anche attraverso progetti che cercano il coinvolgimento di un pubblico nuovo, giovane e popolare, proponendo spettacoli poco convenzionali nelle piazze, nei bar, nelle arene all’aperto a Bolzano e nei centri della provincia. E questa sicuramente è una novità, quasi una scommessa di non trascurabile importanza per rafforzare i rapporti culturali tra lo Stabile e il territorio in aggiunta agli spettacoli nei teatri canonici, a partire da quelli in scena al Teatro Comunale di piazza Verdi, sede istituzionale della compagnia dal 1999 dopo un lungo peregrinare, iniziato nel 1950, dal Teatro Corso al Conservatorio, dall’Hotel Città al Teatro Cristallo e al Teatro Comunale di Gries.
[Mauro Sperandio]
Teatro e società, il caso dello Stabile
Ricerca di Ilaria Riccioni che dal 9 all’11 settembre curerà un convegno in città
Oltre che da un punto di vista strettamente artistico, i settant’anni dello Stabile hanno offerto l’occasione per una riflessione di tipo sociologico sul ruolo del teatro nella comunità bolzanina, sulla sua capacità di risposta alle esigenze del pubblico e sull’influsso che su questo esercita, oltre che sulla sua rilevanza tra gli attori istituzionali.
Di questo ambito dai numerosi risvolti si è occupata la professoressa Ilaria Riccioni, docente di Sociologia generale alla Libera Università di Bolzano, che per Carocci editore ha dato alle stampe Teatro e società: il caso dello Stabile di Bolzano. Sempre a Riccioni dobbiamo la curatela del convegno “Teatro e spazio pubblico”, che si terrà a Bolzano dal 9 all’11 settembre e di cui è possibile trovare informazioni nel sito del TSB.
Professoressa Riccioni, a settant’anni dalla sua nascita, cos’è diventato lo Stabile?
Penso di poter dire che il Teatro Stabile sia diventato il pilastro della cultura e della resistenza culturale italiana sul territorio altoatesino. Ciò è accaduto durante un settantennio anche complesso, che non ha visto un’imposizione culturale precisa, ma un’elaborazione del bisogno. Si pensi al fatto che questa istituzione doveva essere liquidata, ma è stata salvata dai bolzanini stessi, venendosi così a creare un legame e un dialogo tra cittadinanza e Stabile che si è consolidato negli anni in un rapporto di reciproca consapevolezza. Il teatro ha saputo recepire i bisogni della collettività e il pubblico ha capito di averne bisogno.
Come si è manifestato questo sentimento durante la vostra indagine?
Sono stati somministrati 215 questionari e realizzate 110 interviste, che ci hanno dato la misura di come, secondo diversi punti di vista, la cittadinanza sia legata al teatro: c’è chi ne apprezza la “identità”, chi la possibilità di ricavarne stimoli e spunti di riflessione e chi, invece, lo vede come centro di resistenza culturale. Sintetizzando le varie opinioni, appare chiaro come il Teatro Stabile sia diventata un’istituzione percepita nel territorio come fondamentale, non “calata dall’alto”, ma radicata e vissuta, di cui fidarsi anche al di là del gradimento o della comprensione piena dei singoli spettacoli.
Come si manifesta l’“utilità” dello Stabile in questo preciso momento?
Tra le principali attrattive del teatro abbiamo trovato largamente condivisa la sua immediatezza: gli spettacoli si svolgono qui e ora, espressamente per il pubblico in sala. A questo si associa una ricerca di stimoli che oggi, nell’era del digitale e del mediato, si desiderano diretti, non mediati. Non dimentichiamo poi l’aspetto fisico, la presenza reale, e il rinnovato desiderio di sentirsi parte di una collettività non virtuale com’è il pubblico in sala.
È stato possibile rilevare il grado d’affezione e interesse della cittadinanza di lingua tedesca?
I questionari e, in minima parte, le interviste hanno coinvolto anche persone di madrelingua tedesca che hanno dimostrato un grande interesse per il Teatro Stabile, tanto da ritenerlo un punto di riferimento culturale a prescindere dal fattore linguistico. Parallelamente, senza riconoscere in ciò inutili campanilismi, abbiamo rilevato un vero e proprio orgoglio motivato dall’esistenza di un’istituzione forte e qualificata, che produce e promuove cultura in lingua italiana in un contesto, quello provinciale, prevalentemente di lingua tedesca.
Faccio riferimento al titolo del convegno da lei curato e le chiedo: nella nostra epoca il teatro è “spazio pubblico” oppure “azienda di servizi culturali”?
Direi entrambe le cose. Il teatro è un’istituzione, ovvero un’organizzazione atta a soddisfare un bisogno collettivo, e sicuramente ha le caratteristiche di un’azienda. Allo stesso tempo, il teatro si fa spazio pubblico quando si svolge la rappresentazione teatrale che, con il lavoro di regista, attori e maestranze, si confronta con gli spettatori. Tra tutte le arti, io credo che il teatro spicchi ancora per la capacità di accogliere e rispondere alle esigenze del pubblico.
[M.S. ]