Il grande omaggio ai Pink Floyd
Il 19 ottobre al Teatro Cristallo lo spettacolo che celebra la band britannica

“È stato come dormire con la tua ex moglie: non c’era futuro”, aveva detto David Gilmour al termine dell’ultima reunion dei Pink Floyd, il Live 8 londinese del 2005 a Hyde Park. Così è stato, anche a causa della successiva morte del tastierista Richard Wright, per cui da quel momento l’esecuzione delle loro composizioni dal vivo in tutto il mondo è rimasta appannaggio esclusivo di svariate tribute band.
Già a Bolzano lo scorso autunno per un affollato show, torna nel capoluogo al Teatro Cristallo il 19 ottobre alle 17.30 Pink Floyd Immersion, formazione di origine romana dedicatasi da dieci anni a rinverdire i fasti del celebre gruppo rock britannico. Andrea Codispoti è il frontman che abbiamo sentito per saperne di più sullo spettacolo che ripercorre l’intera carriera dei Floyd.
Chi siete? Da dove venite? Cosa portate?
Io vengo da Roma, mi occupo della direzione artistica, canto e suono le chitarre nei Pink Floyd Immersion. Portiamo un nuovo spettacolo rispetto a quello dello scorso anno, che ha girato tutta Italia con 25 date, completamente stravolto e che farà da preludio a un tour europeo in Svizzera e in Germania il prossimo dicembre e nel marzo 2026 (per il pubblico trentino saranno invece a Pergine il 31 gennaio al Teatro Comunale, ndr). Ci tengo a dirlo per chi l’ha visto l’anno scorso a Bolzano: lo show è stato quasi del tutto rivisitato.
Non parli di concerto ma di spettacolo: come mai?
Ovviamente quando si parla dei Pink Floyd si allude ad allestimenti importanti, maiali volanti, laser, luci, video, quindi ci siamo dovuti adeguare e quest’anno abbiamo una parte visual completamente rinnovata. Vista la complessa contingenza internazionale che viviamo, oltre alla musica dei Pink Floyd lo show andrà ad abbracciare tematiche importanti, peraltro in linea con l’impegno e la sensibilità che Waters e Gilmour hanno sempre dimostrato.
Un paio di anni fa i Floyd hanno addirittura pubblicato il singolo “Hey Hey, rise up” allo scoppio del conflitto russo-ucraino…
Hanno partecipato a favore dell’Ucraina a quel progetto ma hanno sempre portato avanti le loro idee per sensibilizzare il mondo in generale, non solo sulle guerre. Oggi viviamo un momento abbastanza complesso a livello generazionale e sul piano dell’approccio verso il prossimo, temi sociali di cui si sono sempre occupati i Pink Floyd, da The Wall a Division Bell dove c’è per esempio A great day for freedom. Noi porteremo quasi tutto Animals che è forse il disco più duro e potente, quasi un simbolo del gruppo anche a livello di contenuto.
Quali sono gli altri componenti del gruppo?
Il nostro batterista, ormai un veterano, Gianluca Catalani, al basso e alla voce c’è Giulio Cleri, Marco Novielli alle tastiere e alla voce, Leonardo Guelpa alla chitarra, Tonino Ciotti è al sax, Elena Cherubini, Claudia Travaglioni ed Eleonora Cruciani ai cori.
Che disco dei Pink Floyd preferisci?
Sicuramente Animals è il mio preferito in assoluto, poi ovviamente c’è The Dark Side of the Moon che fa parte della storia di ognuno di noi e che si trova praticamente in tutte le case, come succede con la Bibbia: che tu ci creda o no, una copia dentro casa ce l’hai!
E invece cosa non ti piace dei tuoi modelli?
Non mi hanno mai fatto questa domanda… Beh, non mi piace che abbiano smesso così presto di suonare, ovviamente (ride, ndr). È un peccato che Waters, esclusa quella piccola eccezione live del 2005, non abbia più voluto che suonassero e ciò ha tolto non solo ai fan ma alla musica mondiale qualcosa che non sapremo mai. Poi, a parte il primo album con Syd Barrett, nel campo della sperimentazione hanno fatto dischi obiettivamente difficili come Ummagumma od Obscured by Clouds, interessanti ma di nicchia e che comunque dobbiamo proporre. Direi però che le cose meno interessanti per me sono quelle a partire dagli Anni Novanta.
Tecnicamente quali sono le maggiori difficoltà?
Il problema per un chitarrista che fa i Pink Floyd è portare tante chitarre, tipo la lap steel che si usa solo per The great Gig in the Sky mentre per One of these days ne serve una di tipo hawaiano con un’accordatura particolare. Per il resto penso sia impossibile copiare Gilmour e sia più importante studiare quello che il gruppo ha fatto negli anni per entrare nel fluido pur cambiando qualche nota.
[Daniele Barina]
















































































































































































