Giada Bucci, quando la voce si spoglia
L’evoluzione tecnica del soprano meranese nel suo ultimo album “Nude”
Una voce, dieci jazzisti e quattordici brani per lo più della tradizione classica: Nude della soprano meranese Giada Bucci è un fresco album nel quale arie immortali si rivestono dei ritmi e delle sonorità del latin jazz.
Dell’arte di interpretare, sia in ambito classico che jazzistico, e della capacità di mettersi a servizio di ogni brano parliamo con l’ideatrice e interprete di questo piacevole esperimento.
Il lavoro dell’artista implica il mettere a nudo il proprio pensiero e le proprie emozioni. Come vive questo compromesso tra riserbo ed esposizione?
Questo Cd ha richiesto una grande evoluzione anche da un punto di vista tecnico. Mi sono dovuta spogliare della tecnica vocale classica che caratterizza il canto lirico, per cercare un suono che assomigliasse il più possibile all’archetipo della “voce naturale”. Senza effetti e risonanze particolari. Ogni brano di Nude, mi dicono, sembra eseguito da una cantante diversa; questo perché mi sono immersa completamente nell’atmosfera di ogni brano. Ho dimenticato ciò che avevo imparato, mi sono sradicata dalle sicurezze che avevo e ho cercato di far guidare la mia interpretazione dall’ispirazione suscitata dai protagonisti, dalle ambientazioni, dai ritmi o dalle storie presenti in ogni pezzo.
Nella lirica scene e costumi sono elementi di somma importanza. La diverte il gioco interpretare-cantando un personaggio?
Sì, molto. Questo è l’aspetto che più differenzia i cantanti di musica moderna, come il pop, dai cantati lirici e anche di musical, che vivono quella scintilla che provoca il sentirsi personaggio di una storia musicata e cantata.
Come prosegue il suo impegno in campo lirico?
Per quanto riguarda la musica classica porto avanti, con piglio un po’ femminista, un trio di donne che esegue musica scritta da donne. La formazione è composta dalla pianista Barbara Ferrari, dalla violoncellista Giorgia Postinghel e da me. Il repertorio comprende, oltre a brani classici, anche canzoni molto famose e familiari al pubblico.
Questa disposizione a dividersi tra due generi molto diversi, il jazz e la classica, si ritrova in alcuni brani del Cd…
Esatto. Ci sono delle introduzioni liriche che aprono reinterpretazioni di arie classiche famose, sposando bene i due generi e facendo convivere, per così dire, il diavolo e l’acqua santa.
Le formazioni jazzistiche, anche per il loro lavoro contrappuntistico, assomigliano a piccole orchestre. Come hanno preso vita gli arrangiamenti di Nude?
Le mie idee hanno trovato nel trombonista Gigi Grata un ottimo arrangiatore, oltre che un attento e rispettoso interprete di come volevo suonasse questo album. Non è stato un lavoro difficile, ma lungo, perché l’obiettivo era ambizioso: volevamo aprire le porte di un genere di nicchia ad un pubblico più vasto. L’idea era quella di poter ascoltare - anche in auto, guidando – una canzone piacevole, che magari è un’aria barocca del XVII secolo.
C’è un brano dell’album a cui si sente più legata?
Direi Giulietta, rivisitazione della romanza Oh! quante volte, oh quante! tratta dall’opera Capuleti e Montecchi di Vincenzo Bellini. L’originale è diventato in tutto e per tutto una salsa, con un “travestimento” davvero stupefacente.
[Mauro Sperandio]