Sandra Passarello, la voce che svela
Intervista alla poliedrica artista bolzanina: “Il silenzio è per me pieno di vita”
Bolzanina di nascita, veneziana e siciliana rispettivamente da parte di madre e di padre, Sandra Passarello ha interiorizzato non solo le culture in cui si è trovata a crescere, ma anche l’attitudine a frequentare e a interessarsi di realtà sociali differenti e dei modi con i quali esse comunicano e si manifestano.
Nello studio e nell’uso della voce, da un punto di vista artistico e antropologico, Passarello ha trovato un efficace mezzo d’indagine e lavoro, da impiegare nelle professioni di attrice, cantante, regista e insegnante. Una vita per la cultura teatrale, si potrebbe dire, che dalle tavole del corso di teatro dello Stabile di 30 anni fa l’ha portata, tra gli altri luoghi, a Bologna per un lungo periodo e, negli ultimi tempi, nuovamente alla terra madre di Bolzano. Per insegnare teatro ma anche per recitare e cantare: utilizzare la voce, appunto.
Penso a titoli di libri, come Le voci della sera, Le voci del bosco, Le voci di Marrakech, Voci dalla Strada. Da quale titolo si sente attratta e perché?
Dei libri che mi cita ho letto solo quello di Natalia Ginzburg purtroppo, ma a questo elenco potremmo aggiungere Le voci del mondo di Robert Schneider, che in un certo senso le comprende tutte... In realtà sono interessata da sempre alla voce, a qualsiasi tipo di voce, a quante emozioni e ricordi possa richiamare in noi. È lo strumento con cui più ho lavorato e con cui continuo a ricercare, nel canto, nella parola, nel rapporto con la nostra parte più intima o con quella più pubblica. La voce è strettamente connessa alla nostra identità profonda e il modo in cui la usiamo può rivelarci molto di più di quanto non sospettiamo, riguardo a noi stessi e agli altri.
All’Imitatore di voci di Thomas Bernhard chiedono di riprodurre la propria voce, ma lui non ne è capace. Lei saprebbe insegnare agli allievi dei suoi corsi a parlare come Sandra Passarello?
Piuttosto che insegnare a parlare come me, troverei più costruttivo guidarli a riconoscere la propria voce e le infinite possibilità che ognuno di noi possiede di usarla in maniera più cosciente e libera. Nei miei corsi cerco di stimolare, attraverso la mia esperienza, un contatto più consapevole col modo di relazionarsi alla propria voce.
Che rapporto ha con il silenzio?
Amo il silenzio, come il vociare dei mercati, l’importante per me sarebbe poter sempre ascoltare ciò di cui ho bisogno o con cui sono in sintonia in quel momento. Lo strumento della voce è strettamente connesso all’ascolto e quindi cerco un equilibrio fra l’ascoltare me stessa e ciò che mi circonda. Il silenzio in ogni caso è per me pieno di vita, per questo è così essenziale avere spazi di silenzio nel mio quotidiano e nella mia vita in generale, perché sono un nutrimento.
Come nasce il suo amore per il teatro?
Credo nasca dalla mia necessità di comprendere la vita e l’essere umano, per poi poterne condividere la poesia e la bellezza con altre persone. Ho cercato di diventare un veicolo tramite l’arte attoriale. È stato inizialmente un modo per avvicinarmi alle contraddizioni di sofferenza e gioia, dramma e comicità - che spesso si trovano sulla stessa soglia - poi, maturando, ho sentito necessario trovare una via di condivisione autentica, nonostante si possa pensare che il teatro sia finzione.
Sapendo del suo interesse per i dialetti e le relative inflessioni, le chiedo: la dizione standard, quando si porta in scena un personaggio “vero”, non è un artificio?
Non credo sia un artificio in sé; una dizione pulita e corretta può essere molto gradevole all’ascolto, se è utilizzata in modo non artificiale, ma integrata nella narrazione che si sta facendo. Il dialetto e il gergo sono altrettanto significativi ed essenziali, se sono connessi ai contenuti che portano, non di certo perché la lingua italiana è considerata obsoleta e quindi non ha valore il modo in cui si parla. Forma e contenuti in teatro devono essere collegati e dialogare in modo armonico secondo me. Cerco di usare entrambi i linguaggi nel modo più opportuno.
Quali testi si augura di poter presto portare in scena?
Amo in generale la testimonianza diretta, c’è qualcosa di talmente vivo nelle parole di chi è pregno di un’esperienza, che raramente viene raggiunto da un testo puramente inventato, vibrano in un modo che sento molto autentico. Senza nulla togliere alle meravigliose opere che abbiamo in letteratura e in teatro; è semplicemente un mio approccio, che mi fa sentire più a casa. Per questo ultimamente mi cimento in reading teatrali, che portano al pubblico testimonianze di vita che ho trovato particolarmente significative.
[Mauro Sperandio]