Morisco, (quasi) trent’anni di buona musica
Piergiorgio Veralli e Francesca Russo stanno per pubblicare il primo album
“Suono chitarra e basso, scrivo i testi alternandomi con mia moglie Francesca Russo che li canta e faccio le musiche: non ho altri passatempi. L’informazione di oggi è ormai frenetica, deve sempre mostrare qualcos’altro di nuovo e lascia poco spazio all’approfondimento: la canzone, al contrario, apre un momento di riflessione”.
Fulminato da un colpo di revolver, si potrebbe dire di Piergiorgio Veralli, che al settimo disco dei Beatles deve la folgorazione giovanile per la musica che tuttora lo accompagna nello scarso tempo libero concessogli dall’intenso lavoro presso la testata giornalistica regionale della RAI di cui è un volto popolare. Sono presto trent’anni che lui e Francesca Russo riescono a tenere vivo un marchio longevo come quello dei Morisco che gli ascoltatori più attenti della conca bolzanina hanno potuto apprezzare anche all’ultimo Live Muse di Pineta di Laives.
Da dove prendono le mosse i Morisco?
Mia moglie ha sempre cantato (prima era nei D.A.R.M.A. ndr): già nei ’90 facevamo brit pop, scribacchiavamo e un pezzo dei più leggeri l’ho recuperato per il disco che abbiamo in gestazione. Suonavamo con Bobbi Gualtirolo alla chitarra e Gigi Grata al basso, alla batteria c’era Woody Giomi, quello che ha il programma La musica che gira intorno su Radio Tandem. Lui aveva un gusto un po’ mod come filosofia, con i suoi capelli a caschetto ci aveva influenzato un po’ tutti. Di quei tempi, tanto non li rinneghiamo, abbiamo sempre conservato il nome: Morisco, da El Morisco che è uno dei personaggi di Tex. D’altronde il western ci è sempre piaciuto, non tanto in musica ma come genere letterario e cinematografico, cosa che si riflette anche un po’ sui nostri testi… Abbiamo poi messo insieme cultura pop, fumetti e cinema, così non manca nemmeno un pezzo dedicato a Diabolik ed Eva Kant.
Parlaci del disco: mi sembra che il singolo trainante sia Don Diego, un riferimento a Zorro, è forse anche il titolo?
L’album in realtà non ha ancora un titolo potrebbe anche essere semplicemente il disco dei Morisco. Ho fatto tutto a casa, arrangiamenti compresi, poi ho consegnato le tracce al chitarrista e produttore Gregor Marini, con il batterista Alex Refatti che ha risuonato con lo strumento acustico i miei ritmi elettronici in questa fase di rimissaggio: il lavoro sarebbe finito ma il mastering non mi ha convinto e ho bloccato le cose. Sono 15 brani, 12 miei, tutti in italiano, ma ci lavoriamo ancora un po’.
Che genere musicale ritieni sia il vostro? Parrebbe ancora rock…
Mah, Francesca ha una vocalità italiana di tipo “minesco”, pensando a Mina, io sono più Lennon-
McCartney. Per via di certi inserimenti elettronici vintage alcuni suggeriscono relazioni con i Delta V, ma non è solo rock, non mi dispiace dire che è pop di quello che piace a me.
Cosa preferisci sentire di solito?
Io ho scelto di non ascoltare quasi più niente, avendo sentito di tutto nella vita tranne heavy metal e hard rock, con il mio bel periodo classico Mahler in testa, musica da film tipo Morricone, molto anni ’60 con i gruppi vocali ispiratori dei Beatles, anche di fine decade come i Free Design. Tutto il pop più pazzo e originale, magari con orchestrazioni: ho avuto anche il mio ritorno di passione per i ’90 e gruppi come Oasis o Verve. D’italiano mi piace Paolo Benvegnù, mi piacevano moltissimo gli Scisma, cose poco mainstream, mentre non sono mai stato un fan sfegatato dei cantautori: da ragazzino però ascoltavo Bennato.
Per gli over 50 Edoardo Bennato è un must…
Mi ricordo come uno dei giorni più belli della mia vita quando venne a Bolzano nel 1984 perché c’erano Enzo Avitabile al sax e suo fratello Rino al basso: quest’ultimo aveva sposato una cugina di mio padre e alloggiava all’Hotel Asterix, così ci chiamò e venne a cena da noi anche se era la prima volta che lo vedevamo in vita nostra. A me e mio fratello disse che potevamo portare qualche amico a vedere le prove e poi il concerto nel backstage: solo io ne portai dieci creando qualche problema, ma con lui sono rimasto ancora in contatto.
Cosa pensi della trap che sta spopolando oggi?
La trovo di un’estrema povertà come basi musicali, temi trattati e linguaggio, con un’esaltazione della rivincita sociale per diventare come quelli che hai sempre invidiato, cioè il peggio del peggio. Una cosa che francamente non capisco. Del rap invece non sopporto questo inondare l’ascoltatore con fiumi di parole che finiscono per levare loro il significato: io prediligo testi essenziali.
Le cover non ti attirano?
Ci sono tre cover sconosciutissime nell’album: una è di Bobbi Gualtirolo, Amore al terzo piano, che abbiamo registrato prima che lui la incidesse sul suo disco uscito a gennaio e avevamo anche già eseguita dal vivo. Un’altra cover è di un gruppo di Brescia che nessuno conosce, gli Intercity, e si chiama Cineprese. L’ultima è di Edda, Stefano Rampoldi cantante dei Ritmo Tribale, sparito dalle scene per anni, poi disintossicatosi e diventato buddista, con questo nome femminile che dice più rispondente alla sua personalità: ha pubblicato un disco bellissimo da cui traggo un pezzo pensato per Mina, Spaziale.
[Daniele Barina]