Parcines, culla della macchina da scrivere
Viaggio nel museo dedicato a Peter Mitterhofer, inventore geniale e incompreso
Parcines, placido villaggio lambito dalla via Claudia Augusta e dominato da una spettacolare cascata, ospita il curioso Museo delle macchine da scrivere.
Se questa istituzione ha qui la sua sede c’è una precisa ragione storica: Parcines ha dato i natali a Peter Mitterhofer, inventore della Schreibemaschine. Ne abbiamo parlato con Maria Mayr, direttrice del museo.
Come tratteggerebbe la figura di Mitterhofer?
Mitterhofer fu un semplice e umile artigiano che ebbe però la capacità e la genialità di cogliere lo spirito del tempo, capendo - anche grazie alle esperienze fatte durante i suoi viaggi di artigiano girovago - quali erano i bisogni di una società in cambiamento, che da rurale si stava trasformando in industriale. Mitterhofer intuì i bisogni del mondo emergente e la portata della sua invenzione, simbolo di un realtà che prima o poi si sarebbe emancipata dal giogo di strutture burocratiche rigide, nobiltà e militari ostili alle idee liberali e democratiche. Proprio queste strutture burocratiche imperanti nel regno asburgico furono responsabili della sorte di Mitterhofer, geniale inventore incompreso, in anticipo rispetto al suo tempo.
Come è nata e come prosegue l’attività del museo?
Il museo è nato 25 anni fa, grazie alla donazione fatta da Kurt Ryba (meranese, residente a Monaco) della sua collezione privata di macchine da scrivere storiche. Oggi la collezione, regolarmente ingrandita dallo stesso Ryba e da altri donatori privati, comprende circa 2000 modelli di macchine da scrivere del periodo 1864-1990.
Quali sono i pezzi più rilevanti della collezione?
La Malling Hansen (1867) primo modello prodotto in serie (e utilizzato da F. Nietzsche), la Sholes & Glidden (1874), primo modello americano e certamente il primo prototipo in legno di Mitterhofer del 1864 (copia). Un capitolo senz’altro interessante riguarda la macchina cifrante Enigma, utilizzata durante la guerra per criptare e decrittare i messaggi inviati via radio. Una curiosità sono anche i numerosi modelli per bambini e infine i modelli ad indice - anche del tipo usa e getta - nati dal bisogno di modelli economici, pronte per accontentare le masse.
Non solo macchine da scrivere e non solo museo…
Il museo possiede anche una ricca collezione di letteratura sull’argomento macchina da scrivere, un’ampia raccolta di cartoline postali, pubblicità storiche e centinaia di istruzioni per l’uso, disponibili a richiesta in formato pdf. L’archivio storico è consultato da studiosi e appassionati di tutto il mondo. Ogni due anni organizziamo un incontro internazionale che richiama tanti collezionisti di macchine da scrivere ed anche di macchine da calcolo e oggetti d’ufficio. Le conferenze su diversi temi e anche la borsa scambio sono aperti a tutti gli interessati, non solo ai collezionisti.
Attualmente è in corso la mostra “Revue” organizzata assieme al Museion: come nasce questa collaborazione?
Da anni siamo in contatto con il museo di arte moderna e contemporanea di Bolzano e abbiamo già ospitato una sua opera nel 2014. L’attuale mostra è nata dal mio interesse per l’Archivio di Nuova Scrittura, inesauribile fonte di bellissime opere verbovisuali. La mostra si inserisce nel progetto di Museion “out & about”, pensato per rendere visibili le opere a un pubblico più vasto, in spazi anche molto diversi da Museion.
Andreas Hapkemeyer, docente di lettere e storia dell’arte e ricercatore presso Museion, è il curatore di Revue, mostra visitabile nel museo di Parcines fino al 19 maggio.
Cosa unisce il Museo della macchina da scrivere e Museion?
Intorno al 1900 i poeti scoprono le potenzialità della visualità per i loro scritti, mentre Picasso e Braque intorno al 1910 cominciano a includere parole e frammenti di parole nelle loro pitture. A partire dagli anni Venti gli artisti iniziano a servirsi anche della macchina da scrivere. Questa costellazione particolare è il punto di partenza che i due musei hanno in comune.
Che ruolo assume la parola quando entra nell’immagine?
Ci sono due aspetti: da un lato la forma delle parole e delle lettere, potremmo dire la loro bellezza astratta, è valorizzata come elemento compositivo. Il coinvolgimento di parole, magari anche frammenti di frasi, permette di includere contenuti trasmessi linguisticamente. I futuristi, per esempio, integrano in certi loro collage frammenti di articoli su eventi militari della prima guerra mondiale.
Da studioso di lettere e arte, cosa l’ha guidata nella scelta delle opere esposte?
L’idea era di dar vita ad una mostra capace di parlare anche a un pubblico non specializzato. Alcune opere degli anni Venti mostrano come il fenomeno intermediale immagine-testo inizi molto presto nel secolo scorso. Al centro di REVUE ci sono opere di poesia concreta e visuale degli anni ’50, ’60 e ’70: volevamo mettere in evidenza come la commistione sistematica di parola e dimensione visuale (scrittura e arte) sia tipica dei movimenti del XX secolo. E che il fenomeno è internazionale - in mostra ci sono artiste e artisti brasiliani, tedeschi, italiani, ma anche giapponesi, cecoslovacchi e altri. Una parte delle opere esposte è stata scelta perché realizzata proprio con la macchina da scrivere.
[Mauro Sperandio]
MOSTRA TEMPORANEA “Revue”
Opere verbovisuali dalla Collezione Museion
Fino al 19.05.2019