La tranquillità? Questioni di testa
La visione dell’uomo nelle opere di Sergio Sommavilla in mostra a Laion
Dal 18 febbraio al 17 maggio, il Kunst im Gang[e] ospita “Questioni di testa”, personale dello scultore brissinese Sergio Sommavilla.
Le sue teste, realizzate in bronzo, pietra e legno, si mostrano come paradigmi di umanità, spunti di storie non ostentate, ma suggerite con tratti essenziali. Nelle asimmetrie più o meno marcate è possibile trovare affinità con la vita di ognuno, i volti di nessuno diventano, in potenza, quelli di tutti.
La testa: come nasce il suo interesse per questa specifica parte del corpo?
Le influenze sono state varie. Da studente ero un grandissimo ammiratore dello scultore rumeno Constantin Brâncuși, che realizzava teste molto stilizzate. Visitando la Grecia rimasi colpito dall’astrattezza delle teste realizzate durante il periodo arcaico, che presentavano solo un accenno di naso, di bocca e di occhi, pur mostrandosi fortemente espressive. Cominciai così ad avvicinarmi a questo “soggetto”, senza mai fare però dei ritratti di persone reali.
Come prendono forma le differenti non-persone?
Sono solito disegnare in quei libricini con la copertina nera e l’elastico. Quando l’immagine mi è chiara comincio a pensare a che materiale impiegare per tradurre il disegno in forma plastica.
Pur non trattandosi di personaggi reali, nella sua mente le sue teste hanno una storia personale?
No. Quello che desidero dai mie lavoro, che hanno tratti molto neutri, è che siano in grado di esternare il fatto che hanno una vita interiore. Le mie teste non ridono, non piangono, non urlano, non sono ritratti. Sono statiche perché voglio che trasmettano tranquillità.
La sua collezione di libricini in cui fa i suoi schizzi è decisamente ampia. Ha mai pensato di pubblicare questi disegni preparatori?
Mi reputo un pessimo disegnatore e non esporrei mai i miei bozzetti, anche se qualcuno mi ha proposto di allestire una mostra di soli miei disegni. Disegno tantissimo, ma solo per annotare quello che mi è utile per scolpire. Eccetto per le sculture che ho realizzato su alberi di vari metri di altezza, non realizzo nemmeno dei modelli in scala.
Tra i materiali da lei impiegati ne figurano alcuni che, per caratteristiche fisiche, sono particolarmente difficili e insidiosi da lavorare. Cosa l’attira di questi “materiali complicati”?
Più duro è il materiale, più tempo uno impiega a lavorarlo. Più tempo richiede il lavoro, più tempo si ha per pensare. Partendo da un disegno di massimo una decina di centimetri già il lavoro è complicato, ma se in più uso un materiale duro la difficoltà aumenta sono costretto a usare una dedizione straordinaria. Ho sempre usato materiali differenti, perché mi affascinano la storia e le diverse tecniche specifiche di ciascun materiale.
Accanto all’attività di scultore, per quarant’anni si è dedicato all’insegnamento di materie artistiche. Quale ricordo ha di questa lunga esperienza?
Ho avuto degli alunni artisticamente molto “tosti” e più di qualcuno di loro oggi fa il pittore o lo scultore. Da insegnante mi capitava di pensare molto a cosa far fare loro in classe, ma spesso erano poi i ragazzi stessi che con il loro potenziale mi stupivano, riuscendo a tradurre le loro idee graficamente.
L’attività dello scultore richiede spazi ed attrezzature adeguate. Cosa rappresenta per lei il suo studio?
Sono sostanzialmente due gli spazi in cui lavoro. Devo lavorare la pietra all’esterno, perché non ho strutture che mi permettano di lavorare al chiuso questo materiale; ciò significa che dalla primavera all’autunno lavoro all’aperto. Per il resto dell’anno lavoro nel mio laboratorio, che è la parte che preferisco della mia casa. Lì posso concentrarmi ed avere tutto a portata di mano. Non è uno spazio grande, non è bello, ma ci sto bene perché posso dedicarmi alla scultura, che è la mia vita.
Da studioso di lettere e arte, cosa l’ha guidata nella scelta delle opere esposte?
L’idea era di dar vita ad una mostra capace di parlare anche a un pubblico non specializzato. Alcune opere degli anni Venti mostrano come il fenomeno intermediale immagine-testo inizi molto presto nel secolo scorso. Al centro di REVUE ci sono opere di poesia concreta e visuale degli anni ’50, ’60 e ’70: volevamo mettere in evidenza come la commistione sistematica di parola e dimensione visuale (scrittura e arte) sia tipica dei movimenti del XX secolo. E che il fenomeno è internazionale: in mostra ci sono artiste e artisti brasiliani, tedeschi, italiani, ma anche giapponesi, cecoslovacchi e altri. Una parte delle opere esposte è stata scelta perché realizzata proprio con la macchina da scrivere.
[Mauro Sperandio]