Il ritratto dei ritratti. Caro Lenhart, ti scrivo
Riccardo Bucci ha scritto un libro sull’artista che ha reso famosa Merano
Quando un giornalista di lunghissimo corso come Riccardo Bucci, con un profondo amore verso il disegno, incontra il ritrattista Franz Josef Lenhart, non può che nascerne qualcosa di eterno. Un libro che inverte i ruoli, che arriva a un ritratto del pittore attraverso il racconto di chi aveva ritratto: insomma, “Il ritratto dei ritratti”.
Nel libro promosso da Mairania 857, Bucci ha rintracciato alcuni dei modelli che hanno posato per il grande maestro meranese di origine austriaca. Si tratta di esponenti della cosiddetta “Merano bene” del XX secolo come il noto dentista Friedrich Singer, il proprietario della libreria Pötzelberger Oskar Ellmenreich, la moglie del pittore Guido Miglioranzi nonché una bambina che sarebbe diventata l’attuale assessora comunale Gabriela Strohmer. All’autore abbiamo chiesto com’è nato questo volume, provando a cogliere il tratto, o la pittura, del libro.
Riccardo, partiamo da una domanda semplice, quasi scontata: com’è nato questo libro dedicato a Franz Josef Lenhart?
Su questo grande della cartellonistica e del ritrattismo erano già state pubblicate due biografie, ma secondo la figlia adottiva Anna mancava un ritratto diverso, che parlasse di lui come uomo e non solo come artista. Promisi ancora anni fa ad Anna che avrei colmato questa lacuna, ma un destino beffardo ha voluto che solo pochi giorni prima che decidessi di ricomporre questo ritratto interiore del maestro, Anna lasciasse questo mondo all’improvviso. Impossibile non tenere fede alla promessa fatta.
I quadri raccontano sempre una storia differente, legata ai soggetti ritratti. Ma spesso un artista segue un suo stile. C’è un filo conduttore tra tutte le opere di Lenhart?
Si potrebbe dire che il suo filo conduttore era quello di cogliere la luce interiore del soggetto, l’aura che ogni volto emana e diffonde attorno a sé. In uno dei racconti del libro c’è poi la prova che questo “rapimento dell’anima” nei ritratti del maestro, sia più di una semplice sensazione suggestiva. Al contrario è palpabile.
Qual è il ricordo più prezioso e personale legato a Lenhart?
Senza dubbio è il momento in cui lo incontrai per la prima volta all’inaugurazione della mostra a lui dedicata in occasione dei suoi 90 anni. Un personaggio che sembrava uscito da un romanzo di Tolstoj, che trasmetteva saggezza e cultura allo stesso tempo, ma anche con straordinaria galanteria e una sottile eleganza.
Il volto ritratto nel quadro dedicato alla figlia Anna è incredibilmente dolce. Era proprio così Anna? Oppure quello che ha impresso l’artista sulla tela era solo uno dei tanti aspetti del suo carattere?
Ritengo che il ritratto di Anna con il gatto tra le braccia racchiuda sinteticamente tutta la vera e autentica dolcezza della figlia adottiva verso il suo “papi” (così era solito chiamarlo) e insieme racconti l’amore che lei nutriva per gli animali.
Qual è il lato emotivo che amava di più cogliere Lenhart nei suoi dipinti?
Il ritratto è sempre l’espressione di un momento statico in cui la maschera facciale è un po’ contratta, quindi innaturale. Lenhart aveva un grande dono: sapeva cancellare dai volti che dipingeva quel sottile velo di staticità contratta.
C’è un episodio che ha dell’incredibile nel tuo libro e cioè quello in cui un ragazzo è riuscito a ritrarre lo stesso Lenhart. Com’è andata?
Si è trattato di un colpo di fortuna, lo riconosco, legato a una lungimirante imbeccata di Giovanna Podavini, segretaria e addetta stampa di Mairania. È stato infatti grazie a lei se sono riuscito ad imbattermi in una delle poche persone al mondo, forse l’unica, che abbia fatto un ritratto al maestro. Si tratta di Paolo Mennea, autore tra l’altro della piacevole copertina, cugino del mitico velocista pugliese. Fu lo stesso Lenhart a scegliere quasi 30 anni fa Mennea, allora quindicenne, tra le persone che in un pomeriggio primaverale stavano passeggiando sul Lungopassirio, per farne il modello della sua scuola di ritrattistica improvvisata. Mennea, dopo aver posato per la scuola Lenhart, chiese e ottenne di fare il ritratto nientemeno che al maestro, come se Giotto facesse il ritratto a Cimabue. Scusate se è poco.
Ti sei ritrovato in alcuni degli aspetti caratteriali o esistenziali di Lenhart? Spesso, quando si crea un legame di questo tipo si crea una specie di sintonia tra lo scrittore e l’artista...
In lui ho ritrovato quella parte di me innamorata del disegno, come espressione pura dell’arte riproduttiva. Le sue matite, soprattutto nel reportage giapponese degli anni verdi, sono un esempio accademico di straordinaria perfezione nell’uso del lapis.
Come sceglieva i suoi modelli? Quanto tempo ci metteva a finire un dipinto?
Nella quasi totalità dei casi non era mai il maestro a scegliere i modelli, ma al contrario erano sempre loro a scegliere il ritrattista di fama che aveva immortalato su tela persino noti personaggi di casa Savoia. Il tempo di posa, invece, variava da soggetto a soggetto, ma normalmente per un ritratto lui pretendeva almeno tre pose di mezz’ora l’una.
[Matthias Graziani]