Isa dagli occhi blu che ama Tom Waits
Intervista a Isabella Magnanini, giovane cantautrice e chitarrista di Laives
Ama Tom Waits, ha già un passato blues e si sta spostando verso un pop intelligente, Isabella Magnanini in arte Isa, cantautrice e chitarrista ventiseienne di Laives con un primo EP in gestazione e un affaccio sui social con quello che potrebbe essere il manifesto artistico della sua transizione, il video del brano “Cura”.
Già seconda voce del gruppo folk-blues Geena B & her Valentines, lavora a Londra per tre anni e, tornata a casa, affida ora a una produzione torinese le composizioni che costituiranno il suo biglietto da visita per farsi strada nel difficile mondo della musica.
Vivere di musica, dunque avere successo, è un traguardo che intendi perseguire o è un qualcosa che potrebbe anche capitare ma rimane comunque in secondo piano rispetto alla tua esigenza di suonare e comporre per divertirti, esprimere te stessa, respirare l’arte?
È senz’altro il mio piano A, lavoro in un ufficio ma quello è il piano B… A monetizzare gli sforzi comunque non bisogna nemmeno pensarci perché è davvero improbabile, meglio creare connessioni con le persone e adesso che non puoi fare concerti l’unico modo di valorizzare la tua arte sono i social, Instagram molto più utile di Facebook se hai un target giovane. Io non ho nemmeno 800 follower ma anche con numeri esigui le piattaforme ti permettono di avere collaborazioni interessanti o, come a me, di finire su una playlist di Spotify. Mano a mano che crei connessioni di questo tipo, poi magari spunta fuori la persona cui interessa fare una collaborazione più seria. E a me è proprio capitato questo.
Raccontaci…
Su Instagram mi ha scritto un ragazzo dell’RKH Studio di Torino che stava cercando artisti emergenti cui dare sostegno per realizzare professionalmente un bel progetto da offrire poi a qualche importante casa discografica. Lui lavora da 10 anni e ha contratti discografici con musicisti come Jack Sapienza o Minerva. Sono quattro produttori e quello che combacia meglio con il tuo obiettivo ti arrangia le idee che gli sottoponi, bene nel mio caso perché me la cavo meglio con la scrittura dei testi che musicalmente.
Scriviamo insieme una canzone: cosa gira in testa per primo? Un motivetto, una bella frase, una piccola poesia o un giro di accordi sulla chitarra?
Sicuramente per prima cosa c’è una melodia che parte in testa e che mi registro sul telefono per non scordarmela. Da lì la sviluppo con Ableton assieme al mio compagno, Andrea Rossi in arte Arox, che si è messo anche a fare il produttore.
Apprezzi qualche musicista locale in particolare?
Il chitarrista Francesco Montanile, mi rilassa molto il suo ultimo album. Elisa Venturin che per un anno mi ha insegnato canto e fa musica molto sperimentale, Tiziano Popoli che insegna all’Istituto Vivaldi e col quale ho fatto un workshop di rumoristica ancora quando studiavo alle superiori. I venostani Mainfelt, ho conosciuto di persona Patrick Strobl e loro sono un po’ i nostri Mumford & Sons … In realtà mi piacciono tutti gli artisti di qui.
Modelli?
Dua Lipa m’ispira nei pezzi che sto facendo ora perché rispolvera gli anni ‘60-‘70 mescolandoli con il linguaggio attuale e avvalendosi di produttori bravissimi, ascoltavo anche Pink con la sua voce rauca e più soul, ammirata anche per la sua mescolanza con il punk e altre influenze che ben si aggrada alla mia passione per la fusion tra generi. A livello di scrittura il mio poeta rimane Tom Waits, perché io tale lo considero: sarà artista di nicchia fin che si vuole, rauco, grezzo e talvolta con cose ruvide quasi inascoltabili, ma io lo invidio tantissimo.
Il Festival di Sanremo, più che del bel canto, è diventato un barometro delle tendenze musicali del Paese?
L’ho visto tutto! Non c’erano pezzi orribili ma si potrebbe fare di più. Mi è piaciuta Madame che ha portato un po’ di contemporaneità, prodotta da Dardust (ndr: Dario Faini) che trovo molto interessante per i suoi suoni ricercati, ma l’autotune a Sanremo si potrebbe evitare e molti la pensano come me. I Maneskin, che hanno vinto con un pezzo fuori target per il Festival, me li spiego proprio come segno di reazione al delirio collettivo rappresentato in Italia dalla musica trap: può essere una cosa nostalgica, ma questo ritorno a un rock energico rivela anche il bisogno del pubblico di sfogarsi e così han fatto loro. M’è dispiaciuto un po’ per Ermal Meta e il suo bel pezzo, che avrebbe meritato forse la vittoria.
[Daniele Barina]