Mad Puppet, 40 anni di progressi(ve)
La storica band ha appena pubblicato “Between”, vinile a tiratura limitata
Con la Corona Edition di un loro vecchio successo si sono riaffacciati in Rete qualche mese fa e ora pubblicano il nuovo album, un vinile intitolato Between. I Mad Puppet, storica formazione locale d’ambito progressive citata nella prestigiosa guida EuroRock edita da Rowohlt, sono paradossalmente passati alla storia proprio per il divertissement intelligente di Nix los, ora rieditato “wegen an Virus in der Nos”.
A quarant’anni esatti dal suo debutto in Oltradige, la band nata sui banchi del liceo dei Francescani di Bolzano presenta ancora tre dei suoi fondatori, il cantante Manfred Schweigkofler, il tastierista Manni Kaufmann e il chitarrista Cristoph “Sane” Senoner, cui si sono aggiunti nel tempo il bassista Thomas A. Pichler e il batterista Michael Mock. Entrato nella band già nel 1989, Pichler ci racconta un LP che cattura sin dalle prime note e che riesce a trovare il giusto equilibrio tra il serioso approccio compositivo tipico di gruppi britannici dell’epoca come Genesis o Emerson Lake & Palmer e un suono più radiofonico.
Thomas A. Pichler: la A sta per?
Per Anton, il nome di mio padre. Io in realtà mi chiamo solo Thomas, ma quando sono andato a iscrivermi alla GEMA (Gesellschaft für musikalische Aufführungs- und mechanische Vervielfältigungsrechte) il nome non era libero, così ho aggiunto la A.
Riferimenti musicali, fonti d’ispirazione e cosa senti ultimamente?
Tanta musica di ogni genere se fatta bene. A 15 anni ascoltavo jazz-rock o fusion, inoltre il punk. Al progressive mi sono avvicinato con i Mad Puppet, era estremamente interessante da suonare come tecnica. Ascolto i Foo Fighters o gli austriaci Mother’s Cake che per me sono il massimo e vado a ogni loro concerto: fanno rock, frammisto a funk e psichedelia, sono molto moderni, ma si sente che amavano Hendrix.
Come sono nate le composizioni di Between?
C’è sempre un periodo vuoto dove scompariamo, anche nei primi anni di attività. Lì approfittiamo per fare jam session da noi in sala prove, con il microfono aperto, ci divertiamo a suonare. Se resta inciso qualcosa di buono, basta anche un tema di chitarra, su quello cominciamo a costruire e sviluppare il pezzo.
I tuoi dischi preferiti dei Mad Puppet?
Ogni disco ha il suo pezzo che mi piace, anche se il genere oggi ci sta e non ci sta. Masque del 1982, il primo lavoro e il più prog, dopo il 1991 che ha segnato la svolta in senso più pop con Not Only Mad, c’è il concept dedicato a King Laurin del 1994 che forse è quello che resiste di più allo scorrere del tempo. Se Cube del 2000 era più poprock, dopo vent’anni siamo ritornati alle origini. Alla nostra età possiamo farlo e non c’importa del giudizio della gente. A dire il vero da quando c’è Spotify, il mercato del disco langue ma anche i giovani ci sentono.
Una produzione di qualità eccellente, fatta in casa, disponibile solo in vinile e a tiratura limitata a 300 copie: come presenterete il nuovo album?
Volevamo lanciarlo allo Steinegg Live ma poi Arno ha detto di non uscire e non volevamo dare un brutto segnale alla gente, dunque abbiamo rinunciato. Manfred Schweigkofler è rientrato proprio per questa produzione e anche nel tour di presentazione ci sarà, affiancato anche dall’altro cantante che si unisce a noi dal vivo quando Fred non può, Michael Gadner. Il disco è inciso da noi, mio figlio Fabian che suona la chitarra negli Shanty Powa (sono loro, i fiati che si sentono nel brano finale Tomorrow, ndr) ci ha fatto l’editing, un nostro fan Jürgen Winkler ha curato il master del vinile che, comunque, include anche il link per il download dei brani.
[Daniele Barina]
Manfred Schweigkofler: “Abbiamo tutti voglia di cultura dal vivo”
Grandi produzioni teatrali come direttore del VBB o di Bolzano Danza, regista di opere liriche, fondatore di teatri e collettivi teatrali, cantante dei Mad Puppet e tanto altro: in una parola Manfred Schweigkofler. A lui chiediamo come vede la cultura nel post Covid e, perdurando il male, se esiste una nuova forma di rappresentazione che consenta agli artisti di lavorare.
“Abbiamo tutti una gran voglia di cultura dal vivo, live performing art, e questi lockdown lo stanno dimostrando. Dopo i primi simpatici tentativi in rete adesso abbiamo tutti, noi e il pubblico, voglia di esperienze dal vivo. Perché ci fanno vivi. Il resto è conserva, untrue. L’arte vive dell’incontro diretto artista-spettatori, hanno bisogno l’uno dell’altro. Pertanto anche le forme che stanno nascendo per la rete, e ci sono anche cose interessanti, non sono altro che un piano B tutto sommato insoddisfacente. Forse dobbiamo spostarci fuori dai teatri, dalle sale di concerto, ma penso che tra poco - con il vaccino - si avrà una soluzione accettabile”.