Dall'Alto Adige al Vietnam: tre storie
Nel libro "Soldati di sventura" Luca Fregona racconta la guerra in Indocina
Luca Fregona, giornalista e caporedattore del quotidiano "Alto Adige", ha pubblicato con Athesia "Soldati di sventura", un interessante libro sull’esperienza di tre giovani altoatesini nella Legione straniera francese durante la prima guerra d’Indocina.
Alle storie raccolte, Fregona ha saputo intrecciare una minuziosa ricerca e una profonda capacità di entrare in empatia con i protagonisti, cogliendone forza e debolezze, facendole confluire in una scrittura coinvolgente e mai compiaciuta.
Fregona, il suo libro colpisce per precisione, tatto e capacità di coinvolgimento.
Si tratta di tre storie diverse, raccontate da due testimoni diretti e dal fratello di un soldato della Legione scomparso in Vietnam e da me raccolte negli anni. Nel momento in cui mi sono messo a scrivere, l’ho fatto come se avessi davanti l'intervistato, con l’intenzione di rispettare le diverse personalità dei protagonisti, anche attraverso passaggi più spiccatamente narrativi. È un lavoro che ho concretizzato velocemente nella scrittura, ma che mi ronzava in testa da molti anni e che ha richiesto una precisa verifica dei fatti e dei luoghi, anche grazie a numerosissime letture. Dato che il racconto mi è sempre stato riportato in prima persona, così l’ho scritto, conservandone anche il ritmo. Beniamino, Emil e Rudi erano persone sobrie, degli antieroi che non volevano glorificare le loro gesta ed io ho cercato di dare spazio al loro lato umano.
Cosa li può aver spinti a raccontare, e quindi rivivere, vicende sicuramente non piacevoli?
Come spesso è accaduto per i soldati che hanno combattuto durante le seconda guerra mondiale, la voglia di raccontare si è presentata solo a molti anni dai fatti. Si aggiunga poi che spesso i legionari sono stati ritenuti dei pazzi, degli esaltati, dei criminali. Credo di essere arrivato nel momento giusto per ascoltare i loro racconti. Beniamino Leoni non è stato facile convincerlo, il contatto è avvenuto grazie all’intercessione di un amico comune, ma un po’ alla volta si è aperto al racconto. Emil Stocker forse stava soltanto aspettando che qualcuno raccogliesse la sua storia. Ci sono voluti molti incontri e, anche se non nascondeva di essere stato nella Legione, minimizzava molto quello che aveva fatto e visto. Fino al nostro ultimo incontro – nel febbraio 2020, poco prima di morire di covid – mi ha raccontato moltissime cose, anche se non tutto ciò che ricordava. Guglielmo Altadonna, il fratello di Rodolfo, ha voluto parlarmi del fratello maggiore che morì a 24 anni e di cui non ebbero neppure le spoglie. Il dolore per questa perdita lo accompagna da decenni e una parte della sua vita è ancora ancorata al momento in cui si sono salutati per l’ultima volta.
Del Vietnam "americano” si sa tutto, ma quasi nulla dell’esperienza di molti italiani in quel paese.
Quando mi sono avvicinato all’argomento non sapevo praticamente nulla della prima guerra di Indocina e neppure del fatto che in essa furono coinvolti un numero di italiani compreso tra i 5.000 e i 7.000. All’inizio della mia ricerca, era il 1999, non c’era ancora la possibilità di cercare su Google informazioni e riscontri e neppure di accedere alle biblioteche digitali che sono ora online. Solo in seguito ho potuto verificare, ad esempio, come le lettere di Leoni fossero state pubblicate dal quotidiano Unità e dal settimanale dei giovani comunisti Pattuglia quale esempio di redenzione contro il colonialismo. Le vicende trattate nel libro sono state ampiamente discusse sia in Francia sia in Germania, ma da noi, a parte l’isolato esempio del libro dell’ex legionario Antonio Coco, poco o nulla si è detto. Con il mio lavoro spero di aver restituito un po’ di dignità a quelli che erano spesso dei ventenni che avevano patito la fame, la guerra e grandi difficoltà a reinserirsi nella vita normale.
Le persone da lei intervistate crede si fossero pacificate col loro passato?
Entrambi ne erano rimasti segnati, ognuno ha vissuto il ritorno in modo diverso. Quello del Vietnam era un contesto allucinante in cui o morivi subito o tentavi di sopravvivere. Leoni ha cercato di costruirsi una famiglia, ma la morte del giovane figlio, per un incidente in montagna, lo ha fatto ripiombare nel buio più totale, distruggendo definitivamente la sua vita. Emil Stocker ha avuto una profonda crisi di coscienza che lo ha avvicinato alla religione, anche se lui in qualche modo era stato educato e cresciuto per fare il soldato. Nato in una famiglia di lingua tedesca, fu mandato alla scuola italiana e poi finì in Germania, a soli 10 anni, in una scuola nazista gestita dalle SS. Non ha mai sconfitto i suoi demoni, è vissuto in solitudine e, nel riferirmi alcuni episodi, non riusciva ancora a trattenere le lacrime. La cosa non deve sorprendere, se si pensa che sono molti gli ex legionari che si sono suicidati anche in età molto avanzata.
Da giornalista attento all’attualità, trova analogie coi nostri tempi?
I giovani legionari che finirono in Vietnam erano migranti per motivi economici, clandestini che si erano trovati di fronte alla scelta di entrare nella Legione, finire in prigione o di nuovo nella miseria da cui cercavano di scappare. Non avevano idea di dove fosse l'Indocina e nemmeno di cosa fosse davvero la Legione, che conoscevano solo grazie a qualche film romantico. Le storie dei nostri tempi sono ancora storie di migrazioni e disperazione e i paralleli non mancano. Le immagini dell’aeroporto di Kabul, con i giovani che si appendono agli aerei che lasciano l’Afghanistan, mi richiamano alla mente quelle a cui ha assistito Stocker nel 1954, quando la Legione lasciò Hanoi e la popolazione allo sbando supplicava aiuto e protezione.
[Mauro Sperandio]