Addio al monastero di Sabiona
Si chiude una storia lunga più di tre secoli: intervista all’ultima superiora
Culla spirituale del Tirolo tutto, pregevole esempio di architettura religiosa barocca, il monastero di Sabiona sorge su un colle sopra la cittadina di Chiusa.
Inaugurato nel 1686, è stato per oltre tre secoli sede di una comunità di monache benedettine che hanno svolto la loro missione in clausura, secondo la Regola di San Benedetto di Norcia. Oggi, a causa del ridotto numero di religiose, gli ampi spazi del monastero sono diventati ingestibili dalle tre suore rimaste, tanto che agli inizi di dicembre la piccola comunità si dividerà tra le abbazie di Mariengarten a San Paolo di Appiano e quella di Nonnberg a Salisburgo. Abbiamo sentito Maria Ancilla Hohenegger, madre superiora del monastero di Sabiona dal 1996, quando le monache erano circa una ventina, per raccogliere le sue impressioni su questo particolare momento.
Madre superiora, dopo 335 anni le monache lasciano il monastero di Sabiona. Per voi religiose è un momento tragico oppure una nuova pagina della vostra missione?
È triste che i monasteri muoiano dissanguati, ma questa è la situazione. In 335 anni di attività a Sabiona si è raccolto un grande tesoro fatto di preghiera, lavoro artistico e testimonianze di vita piena. Ora dobbiamo lasciarci alle spalle tutto questo. Una nuova missione? Forse. Intanto cerchiamo continuare la nostra vita. Sulla terra tutto passa, solo Dio rimane sempre e, anche in questa situazione, non possiamo che avvicinarci a Lui.
Ci sono dei momenti particolari che ricorda con piacere della vita della vostra comunità?
Sono tanti e preziosi i ricordi che mi accompagnano! Le celebrazioni liturgiche, le ricorrenze personali e della nostra comunità, il lavoro condiviso con le consorelle e anche i momenti di riposo. Sono particolarmente grata del fatto che sia stato possibile occuparci della cura delle sorelle anziane e malate all’interno del monastero e che questa attività sia stata un momento particolarmente prezioso e arricchente.
Come descriverebbe il rapporto tra il monastero e la città di Chiusa e i suoi abitanti?
La collaborazione e l’apprezzamento reciproco tra il monastero e la città di Chiusa sono state stabilite fin dall’inizio della storia del monastero dal suo fondatore, il decano della città di Chiusa Matthias Jenner, e si sono mantenute fino ad oggi. I cittadini di Chiusa hanno sempre apprezzato le preghiere delle suore e le hanno sostenute quando era necessario. Ma hanno gradito anche l’indipendenza del monastero. Marcellina Pustet, nostra madre superiora morta nell’aprile 2019, ha ricevuto per il suo impegno la cittadinanza onoraria dal Comune di Chiusa.
Può risultare difficile comprendere la scelta della clausura. Quali sono le gioie e le difficoltà della vostra quotidianità?
La scelta della clausura è una scelta fatta da noi in modo spontaneo e consapevole. All’inizio questo regime è un rifugio, uno spazio riparato, che permette di aprirsi a Dio sempre di più e sempre con più concentrazione. Se perdessimo di vista Dio, sarebbe difficile per noi vivere questa vita. Nella lode di Dio ogni giorno trova la sua bellezza, che si riflette anche nella bella interazione all’interno della comunità. Credo infatti che una liturgia ben celebrata abbia bisogno di essere preparata nel silenzio. Anche i periodi di silenzio protetti durante la clausura sono un piccolo lusso. Chi può bearsi di una simile protezione quotidiana nella movimentata vita familiare o nel mondo del lavoro?
Sabiona è famosa per il patrimonio artistico: c’è un’immagine che più di altre porterà nel suo cuore?
Chiusa è nota come la città degli artisti. Le nostre monache si sono sempre esercitate nell’arte della preghiera e della devozione quotidiana. Sabiona è tessuta con le orazioni e la dedizione delle suore. Abbiamo anche creato begli oggetti, soprattutto meravigliosi paramenti. Ecco, porto con me il ricordo di questo lavoro.
Che ne sarà di Kloster Säben?
Mi auguro e prego che Sabiona continui ad essere anche nel futuro un luogo di culto dedicato a Dio, un luogo in cui Gesù continui ad avere il diritto di vivere, un luogo in cui le persone vivano una vita piena. Sarei felice se una comunità religiosa si trasferisse qui e mantenesse viva la tradizione del monastero.
[Mauro Sperandio]