Sulla mia pelle. Firmato: Ronnie
La cantautrice bolzanina parla dell’ultimo EP e dell’esperienza con i talent
Parte da un oggetto o da un fatto per poi riconnettersi a uno schiumone emozionale, il suo senz’altro, a volte anche il tuo: questa è la penna di Veronica Carotta, in arte Ronnie, ventitreenne cantante e autrice bolzanina di belle speranze, reduce non da uno bensì da due talent show e con un EP da poco uscito, “Sulla mia pelle”, incentrato sull’espressione di sé attraverso i tatuaggi.
I parallelismi tra quell’universo e la vita reale riescono non scontati pur nel mainstream sonoro in cui sono calati, un dark pop con qualche spruzzata di rap e qualche divertissement in autotune.
Qual è stata la scintilla iniziale che ti ha avvicinato alla musica?
Un corso di danza hip-hop è stato il mio primo approccio alla musica e poi la passione è proseguita per anni, alternandosi con quella per la danza moderna. Ho studiato qualche anno pianoforte, il canto l’ho iniziato alle scuole medie e lo studio ancora al CPM Music Institute di Milano, città dove attualmente vivo e lavoro. Oltre alle materie di base del Conservatorio, questo corso di laurea triennale riconosciuto dal MIUR prevede anche discipline più economiche tipo Music Business and Management o lo studio di programmi informatici utili ad arrangiare le produzioni musicali, per una formazione davvero totale.
Tutti gli artisti “veri” parlano male dei talent show: sarà l’invidia per non riuscire ad arrivarci?
(ride) Ho avuto la possibilità di partecipare sia a una puntata di Amici, sia a una di X-Factor, una volta per mia volontà e un’altra contattata. In ambo i casi la struttura televisiva che sta dietro al programma mi era chiara: era evidente che le persone senza management fossero lì solo per recitare un ruolo, per riempimento diciamo. Il rancore degli artisti nei confronti di questi format deriva un po’ da questa circostanza, ci si sente repressi per il fatto di non disporre del contratto che ti fa andare avanti all’interno dei talent, oltre alla perdita d’identità che implicano in quanto spesso virano quasi a serie televisive. Vengono analizzati i tuoi comportamenti, giudicati i tuoi modi di essere e le opinioni, con strumentalizzazioni del carattere di una persona che sono anteposte all’effettivo valore della musica che fa.
Dunque? Mai più talent o rivivresti l’avventura?
La rifarei perché comunque stare davanti alle telecamere e cantare per una platea vastissima è una sfida con se stessi e un’esperienza importante in quanto devi autogestirti, gestire la tua performance. Metterei solo una maggiore attenzione ai miei comportamenti, misurerei le parole, come hanno suggerito persone care che sono durate per mesi all’interno della casa di Amici, ben consci che ciò che dici può essere poi smontato e rimontato in un contesto diverso, in modo che tu sembri d’accordo con qualcosa quando invece con quelle parole ti riferivi a tutt’altro.
“Prendi tempo”, una delle tante canzoni che hai su Youtube, mi pare la via giusta per uscire dalla gran massa di proposte omogenee che il pop ha prodotto negli ultimi decenni, sia a livello visivo, sia musicale, con suoni più essenziali...
Quella canzone l’ho pubblicata nel 2017, ho sperimentato tanto all’inizio, con suoni più scarni in effetti e poche strutture, ma la cosa mi ha anche confuso un po’ le idee, tali e tanti i generi che mi piacciono, al punto da rendere difficile operare una selezione. Di base provo a scoprirmi giorno per giorno, senza pormi limiti, ma dovendo contestualizzarmi direi che mi sento più r’n’b’, soul o rap, sono affascinata da un po’ tutti i derivati della black music. Pitto Stail (ndr.: il rapper milanese Paolo Pensabene) mi ha fatto crescere molto musicalmente, così Martin Martinovic per l’ultima fatica. Ora sono in fase di ricerca, ascolto buona musica e sono in pausa dalla scrittura perché bisogna vivere ogni tanto per poi sfogare sul foglio o, come mi sta accadendo, per essere arrangiatrice anche musicale dei tuoi pezzi.
“Io (Sarò me)”, brano tratto dall’EP uscito a giugno, mi pare un’autobiografia perfetta che racconta una presa di coscienza che ti ha reso quel che sei oggi: però all’Università giusta per coltivare i tuoi sogni ti sei poi iscritta anche tu...
Il riferimento lì è all’etichetta di accademico non all’istituzione: non significa nulla autoetichettarsi come persona di cultura, che ragiona e sa stare al mondo solo in virtù di un titolo, quello che conta è l’impegno in qualsiasi contesto lavorativo siamo inseriti. Scrivo in pratica una lettera a me stessa, a una persona che accetta sé e i suoi limiti, per dare il benvenuto a un cambiamento che non può che migliorarti: da quando canto delle mie sbadataggini, in verità ho fatto progressi e non perdo più le chiavi per strada...
Un consiglio ai nostri giovani lettori che vorrebbero cimentarsi nella scrittura di canzoni?
Comporre con lo stesso sistema ma ogni giorno in una maniera diversa. Il sistema prevede d’iniziare una cosa e finirla, anche perché le idee e l’energia del giorno prima non sempre combaciano con quelle del giorno dopo. In seguito si può solo modificare qualcosa all’interno del pezzo, qualche strumento o una parola. A volte inizio dal pianoforte, da una melodia per piano e voce, poi collego lo strumento al computer immaginando l’orchestrazione che ci può stare intorno: parto da un giro armonico e poi ci metto la cornice. Puoi anche incominciare da una base che trovi in Internet e poi riarrangi a modo tuo, i metodi disponibili sono davvero molti.
[Daniele Barina]