Ispirata da Taylor Swift
Intervista alla cantautrice meranese Giulia Martinelli
A parlare di Giulia Martinelli, giovane cantautrice del Burgraviato, provvedono i suoi tre album e una decina di video su Youtube, oltre al pubblico e alla critica che l’hanno vista all’opera su un palcoscenico, forse ciò che più le sta mancando in queste strane, vuote stagioni.
Studi in filologia moderna, a Milano, New York e Madrid, un lavoro nel marketing dei social media, scrive in inglese e ama la chitarra acustica al punto da farne spesso l’unico accompagnamento alle sue esibizioni, anche oltre i confini nazionali. Eppure, la finalizzazione pop delle sue creazioni resta prioritaria quando entra in studio, normalmente coadiuvata dai chitarristi Mattia Mariotti e Chris Kaufmann. Ne parliamo con la diretta interessata.
Come ti sei avvicinata alla musica?
Da sempre canto, la passione per la musica me l’hanno trasmessa in casa. Alle superiori ho incontrato Sonia Ferrari che mi ha fatto studiare tecnica vocale e amare di più il canto. La chitarra ricevuta dai genitori non mi è piaciuta sin da subito e quando l’ho riscoperta anni dopo ho dovuto riprenderla da zero.
Muse ispiratrici?
Taylor Swift. Al punto che quando esco con gli amici, mi hanno fissato la regola che posso nominarla solo una volta. È autrice delle sue canzoni, la migliore per me anche vocalmente. Il modo d’iniziare un brano e il canto in inglese li ho presi da lei. Sono a mia volta una perfezionista e voglio avere il massimo controllo creativo delle mie produzioni. Studio fino a ogni sillaba per ottenere una dizione corretta, anche se durante gli studi all’estero parlavo moltissimo in inglese faccio comunque controllare tutto a un madrelingua. Delle cantautrici più classiche certo mi piace Carole King e ho amato molto Joni Mitchell e le sue qualità compositive.
Svolte rock all’orizzonte?
(ride, ndr) Non so quanto sia rock l’ukulele! Volendo categorizzarmi direi che tendo al pop, al grande country pop americano con sfumature folk.
Qual è il tuo immaginario di riferimento nel comporre e come ti relazioni con il territorio?
Io ero una che alle superiori non vedeva l’ora di scappare da qui, poi ho imparato ad apprezzare dove viviamo, i vantaggi sociali e lo stile di vita che mi sembrano migliori di tanti posti, tipo San Francisco dove vedi le tendopoli per strada. Per la musica ho una scrittura basata su esperienze e impressioni personali, vicende autobiografiche cui si aggiunge l’empatia generata da film o libri capaci di suscitare emozioni forti, al punto da fartene pervadere come se fossero tue...
La scelta dell’inglese è puramente estetizzante? Hai mai provato in italiano?
Da un lato, qui in Alto Adige scrivere e cantare in inglese funziona, ti evita l’opzione tra le due lingue più diffuse. Dal punto di vista fonetico, d’altronde, il mio modo di cantare è più tarato sull’inglese che sull’italiano. Si sa come il modo di parlare cambi a seconda della lingua che usiamo, a maggior ragione nel canto. Poi, pur bravissimi molti di loro, fatico a dire che i cantautori italiani potrebbero ispirarmi. Non vedo al momento una tendenza country pop, specie a livello di scrittura...
Un giudizio sui tuoi colleghi in loco: che scena abbiamo qui?
Nella società come anche nella musica spiacciono i due mondi in cui siamo divisi, italiano e tedesco. Penso infatti ci siano grandi cantautori in entrambe le aree linguistiche. Ce ne sono tanti e di molte generazioni diverse: come musicista io stimo moltissimo Bobby Gualtirolo, il mio mentore che ha sempre creduto in me, spingendomi a pubblicare. Mi trovo bene con lui anche solo in veste di chitarrista. Di Sonia Ferrari dei Blue Wings ho già detto quanto sia stata importante, poi mi piace cantare insieme a Roberta Creazzo che fa parte dei The Giggers, band dalla vena funky e soul.
Progetti futuri: stai scrivendo un nuovo album?
Ne potrei pubblicare a decine, avrò cento canzoni! È che farlo per bene ha un certo costo. Pare brutto dirlo, ma chi si fa in quattro per scrivere, inventare melodie, trovare i musicisti e le serate non guadagna molto, a differenza del fotografo, del virtuoso che ti suona una parte, dei tecnici e dello studio. Sogno di fare un disco con artisti locali, per esempio coinvolgendo David Altieri che è chitarrista, un grande evento con tanti musicisti locali. Se ne scoprono sempre di nuovi: c’è stima reciproca ma ora manca l’incontro, suonare insieme ma anche uscire per andare a sentirli dal vivo.
[Daniele Barina]