“Nati prima”, l’inno alla vita di chi soffre
Il racconto dell’autrice e assistente geriatrica Annamaria de Lena Pavcovich
“Nati prima” (LiberEtà Edizioni) di Annamaria de Lena Pavcovich non racconta soltanto di persone anziane avvicinate negli anni grazie al suo impegno professionale, ma si trasforma, pagina dopo pagina, ricordo dopo ricordo, in un inno alla vita.
Quella vera fatta di gioie e dolori di speranze e delusioni, di frenesia giornaliera e quotidianità lenta, di fede o impegno politico e sociale, di paura della morte e di entusiasmo vitale anche negli ultimi giorni del proprio percorso su questa terra. Un libro che in questo momento storico può aiutare davvero.
Come le è venuta l’idea di questo libro?
Ho lavorato come assistente geriatrica per più di 35 anni. Con molti pazienti, in particolare quelli assistititi per un lungo periodo, si è instaurato un rapporto confidenziale, affettuoso e intimo. La raccolta di racconti è stata l’idea per ricordarli e far conoscere le loro storie.
Quale storia le è rimasta più impressa? Com’è stato ricordare le storie vissute da ammalati e degenti?
Sicuramente quella di Antonio, il mio primo lavoro. Ho iniziato ad assisterlo in clinica e poi a casa. Abitava con la figlia e il genero, ma lo lasciavano sempre nella sua stanza da solo. Non l’ho mai dimenticato. Ricordare quei momenti è certamente per me un momento molto sentito e vivo. Un ricordo che è rimasto sempre nel cuore e che doveva in qualche modo essere rivelato. Mi ha riportato i miei pazienti più cari.
Quanta forza e professionalità ci vogliono per assistere gli anziani in questo particolare momento?
Assistere un anziano non significa solamente lavarlo, vestirlo e aiutarlo a mangiare. Ora sono molti anni che non lavoro più e, confesso, oggi non saprei proprio come approcciarmi in un momento come questo. Il mio rapporto lavorativo con loro non prevedeva distanze di alcun tipo, né emotive, né fisiche (ovviamente la cura dell’igiene della persona lo sottintende). In questo momento non saprei proprio come riuscirei a lavorare con loro. Certamente è un momento in cui è necessario avere ancora più professionalità, forza e cordialità; e soprattutto è necessario offrire a queste persone, molto più di prima, affetto e amore.
Lei è un’assistente geriatrica in pensione: com’era la professione ai suoi tempi?
Lavorando privatamente il lavoro si svolgeva prevalentemente a domicilio e quindi era necessario assistere gli anziani in tutte le loro esigenze e bisogni. Era un’attività di cura, a 360 gradi: era necessario lavarli, pulire a volte anche la casa, fargli fare degli esercizi, portarli fuori e, quando necessario, assisterli dal punto di vista psicologico. Quando ho iniziato a lavorare la figura dell’assistente geriatrica non era conosciuta né tanto meno riconosciuta. Soprattutto nelle strutture ospedaliere e nelle cliniche: spesso eri un’intrusa che si voleva intromettere o che pretendeva di fare le cose meglio. Nell’assistenza a domicilio dei pazienti invece si veniva accettate di buon grado.
Ha altri progetti nel cassetto?
Sì! Vorrei scrivere qualcosa sulla storia dei Balcani fino ai giorni nostri. Sono molto legata a quei paesi, alla loro cultura e al loro modo di vivere. Mio marito era nativo della Dalmazia, di una cittadina vicino a Spalato (Traù – Trogir in croato). Io ho viaggiato molte volte per quella che oggi chiamiamo ex Jugoslavia. Ci sono stata prima con mio marito, ancora al tempo in cui era considerata una terra da non frequentare e quando raccontavi di essere stata in quel paese la gente ti guardava strano e ti diceva: “In Jugoslavia? Ma cosa ci vai a fare in posti come quelli!”. E poi ci sono tornata anche dopo la sua morte insieme ad altre persone, per far loro conoscere quei posti, quella costa meravigliosa e quelle città incredibili, quali Mostar e Sarajevo. I Balcani sono paesi bistrattati con una storia dilaniata e difficile. Ho messo giù una serie di appunti: chissà se riuscirò mai a realizzare questo lavoro.
[Matthias Graziani]
CHI È ANNAMARIA DE LENA PAVCOVICH
Annamaria de Lena Pavcovich (nella foto) nasce a Bolzano il 3 maggio 1938, da padre meridionale e madre veneta. Ancora in fasce viene affidata ai nonni paterni (la nonna di Bologna e il nonno di Matera) che vivono a Lamon in provincia di Belluno, dove il nonno è medico condotto. I genitori, rimasti a Bolzano, la riprendono con loro all’età di 14 anni: “Annamaria era ormai grande e poteva dare una mano in casa”. A 22 anni si sposa e l’anno successivo nasce la sua unica figlia. Verso la fine degli anni ‘60 si avvicina alla politica. Nel 1974 si iscrive all’U.D.I. (Unione Donne Italiane) di Bolzano, divenendone una delle maggiori sostenitrici. Partecipa attivamente alle iniziative del movimento delle donne a sostegno della legge sul divorzio e dell’interruzione volontaria della gravidanza.
La professione del nonno e i suoi insegnamenti la portano a riprendere gli studi intorno ai quarant’anni: prima il diploma di scuola media inferiore e poi quello di assistente geriatrica. Nel 1980 intraprende questa attività che l’appassiona tanto da praticarla anche in età avanzata, dedicando parte del suo tempo al volontariato con l’associazione Auser. Rimasta vedova a 50 anni, oggi vive in compagnia di un gattone rosso e di una volpina adottata in un canile. Il suo primo romanzo, “La ragazza di Lamon”, ha vinto nel 2011 il 2° premio al concorso letterario “Alto Adige. Autori da scoprire” indetto dalla Provincia di Bolzano. Nel 2013 il suo secondo romanzo “Tonio” entra nella rosa dei sei finalisti del premio LiberEtà e viene pubblicato dalle Edizioni Praxis di Bolzano. Il racconto “Il gatto che scrisse un libro”, rimasto a lungo nel cassetto, viene pubblicato nel 2014 da Curcu & Genovese.