Parole leggere, parole impegnate
L’attrice Monica Trettel e l’uso intelligente della risata e della scrittura
Monica Trettel è attrice, performer e scrittrice. I suoi spettacoli affrontano da sempre temi di rilevanza politica e sociale e, nel tempo, si sono caratterizzati per l’uso intelligente della risata.
Con la lanterna dell’ironia, non lesinando il ricorso all’assurdo e attingendo ad elementi e personaggi lontani dalla nostra epoca, Monica Trettel ci dà la misura delle particolarità e delle contraddizioni del nostro tempo, prendendo a cazzotti la possibilità di rimanere indifferenti.
Il suo lavoro cavalca le principale identità linguistiche e culturali altoatesine. Che rapporto ha con l’idea di confine?
Vengo da una famiglia italiana trasferitasi a Tripoli, in Libia, Africa. Il Catinaccio, sicuramente magnifico da vedere, non mi permetteva di immaginare cosa ci fosse oltre le montagne. Il confine, dunque, è qualcosa che mi si è “spiaccicato” addosso. Le montagne sono una metafora di questa terra, che è ricca di confini geografici e umani. Sono cresciuta seguendo le campagne di Alexander Langer e la sua visione ha dato forma al mio modo di fare teatro, un teatro che fugge le gabbie e le separazioni. Se devo dare un’immagine al mio senso di libertà, penso al mare, dove non ci sono confini.
Quando ha scelto di usare l’arma dell’ironia?
Ho fatto per molto tempo teatro di impegno civile e drammatico, scrivendo su e portando a teatro temi quali la guerra nella ex-Jugoslavia. Il registro drammatico della mia carriera si è interrotta al Teatro di Documenti del maestro Luciano Damiani: dopo uno spettacolo dedicato a sette figure femminili dal destino tragico, mi sono accorta che il pubblico stava piangendo. Il fatto mi colpì profondamente, perché mi sentivo responsabile della loro sofferenza. Decisi così che non avrei più fatto piangere gli spettatori e mi sarei assunta la responsabilità del loro riso. Non avrei rinunciato a raccontare storie anche tristi, ma lo avrei fatto in modo differente.
Ci sono dei “trucchi” perché questo funzioni?
Do al pubblico informazioni precise e circostanziate dell’argomento che tratto e inizio i miei spettacoli in modo spiazzante, così da destrutturare le convinzioni di chi ho davanti e portarlo nel qui e ora dello spettacolo. Ho anche eliminato le maschere, affinché il confronto sia diretto e non mediato.
Cosa la fa ridere?
Mi fanno ridere le cose semplici come la sincerità disarmante delle persone, ma non disdegno le battute cervellotiche complicate forse sono vicina allo humour inglese. Quella del ridere è per me una disciplina e cerco di esercitarla ogni giorno cercando nuovi motivi, cosa non facile visto il periodo in cui viviamo.
C’è tra le parole qualcuna che l’affascina particolarmente?
Amo le parole, ma non saprei dire quali sono le mie preferite. Ci sono concetti che vengono espressi meglio in alcune lingue piuttosto che in altre; l’inglese delivery esprime bene il concetto di “arrivare da qui a là” non solo per gli oggetti ma anche per il pensiero. In tedesco, mi vengono in mente l’aggettivo scharf – che riassume in sè il nostro tagliente, acuto, preciso – e il relativo scharfes denken, il “pensare scharf”.
La comicità, per funzionare, ha tempi e modi ben determinati. Quale rapporto ha con la precisione?
Amo la precisione e, allo stesso modo, anche gli errori, perché da essi spuntano sempre cose nuove. Preparo meticolosamente il mio lavoro, ma lascio spazio all’improvvisazione e anche all’errore, che mi permettono di connettermi al pubblico lasciando spazio e possibilità di intervento. Non penso all’errore come a una tragedia, con il tempo ho allenato molto anche l’autoironia e il sorridere dei miei errori. Nei rapporti con gli altri e nelle amicizie, la precisione e la puntualità le ritengo però irrinunciabili.
Con il suo La via della capra è passata dalla parola detta a quella scritta. Com’è questo libro?
Da bambina ero una lettrice insaziabile e presto mi sono appassionata anche alla scrittura. Il teatro mi ha permesso di rimanere legata alle parole che tanto amavo. Quando ho capito che ero più di un’attrice, perché le parole degli altri non mi bastavano, ho cominciato a scrivermi i testi da portare in scena. Il testo teatrale è destinato ad essere recitato e posso calibrarlo in base al contesto e al pubblico. La parola scritta, una volta stampata, si stacca da me e mi permette di lasciare il pensiero e il lettore da soli. La Via della capra è nata in un momento particolarmente triste con l’obiettivo di darmi coraggio, tirarmi su, farmi ridere. La parola ha anche questo potere.
[Mauro Sperandio]