Racconti altoatesini (con)divisi
Edito dalla Fabbrica del tempo un libro dedicato all’anniversario 1918-2018
Il volume “18/18. Alto Adige/Südtirol 1918-2018” condensa l’ultimo secolo sudtirolese, tra dissidi e una nuova via verso il futuro. Edito dalla “Fabbrica del tempo”, ce ne parla Ulrike Kindl, che ha curato il libro assieme a Patrick Rina e Tiziano Rosani.
Ulrike Kindl, come vede gli ultimi 100 anni dell’Alto Adige?
Solitamente la storia dell’Alto Adige è vista come una storia di periferia, ma quasi tutti i popoli d’Europa sono passati di qui. Parliamo dunque di una microstoria nella macrostoria del crollo dell’Impero austriaco. La sua disgregazione ha lasciato un trauma. La Prima Guerra Mondiale ci ha catapultati fuori dal centro, rendendoci una terra di confine. Nonostante ciò, parliamo di una storia di successi. In cento anni di duro lavoro siamo riusciti a rendere obsoleta una frontiera, tornando a essere un ponte tra nord e sud.
Quale immagine hanno restituito gli autori di questo secolo made in South Tyrol?
C’è una grandissima varietà di opinioni, d’altronde il libro voleva essere proprio questo. Ci sarà sempre chi non condivide una certa visione, tre gruppi linguistici implicano almeno tre diversi racconti. Ma i giovani vivono il Sudtirolo come se fosse sempre stato mistilingue che, in effetti, è vero. L’Alto Adige insegna che le chiusure etniche creano guai, mentre le aperture creano progresso.
L’anniversario 1918-2018 è una data importante. Come è stata ricordata a livello locale?
Questo anniversario è caduto nel dimenticatoio, c’era paura di affrontarlo. La memoria patria qui è polifona, perché c’è la memoria italofona, quella germanofona e ci sono i ladini. Durante il fascismo e durante l’occupazione nazista non è stato diviso solo l’Alto Adige, ma c’è stata una divisione dei cuori. Questo ha creato delle pericolose diffidenze.
Ci può raccontare qualcosa sulla genesi del libro?
Volevamo reagire al mutismo della politica dando voce alla popolazione civile. Volevamo agire ad ampio raggio, coinvolgendo artisti e persone provenienti dal mondo della cultura, oltre a storici veri e propri. Niente statements politici ma un coro a più voci, anche discordanti, purché sulla base di un’unica idea: costruire il futuro.
Cosa può aspettarsi il lettore?
Il libro offre saggi su temi che di norma non vengono affrontati. L’Alto Adige è piccolo, ma spesso non ci si conosce – tra italiani e tedeschi, ma anche tra vicini. Abbiamo per questo dato spazio alla popolazione civile, arrangiando un coro polifonico con i suoi alti e i bassi, le armonie e i dissensi. Il libro si presenta come un pot-pourri di osservazioni e dimostra che la storia può essere presentata in modo serio, approfondito e spassoso.
Come ha vissuto lei personalmente il lavoro a questo libro? Si tratta comunque di un tema “caldo”…
L’Alto Adige non ha un’unica verità e non ce l’avrà mai, infine parla tre lingue. Siamo partiti con grande entusiasmo e strada facendo sono nati alcuni problemi dovuti al fatto che ci sono ancore molte paure ancestrali nascoste. Spesso non sai neanche dove vai a toccare un nervo scoperto. Nell’altro vorremmo sempre vedere lo specchio di noi stessi. Riconoscere l’esistenza di uno specchio che ti dà un’altra versione della realtà è difficile, ma possibile.
LA CURATRICE
Ulrike Kindl (*1951), meranese, ha studiato germanistica e linguistica a Venezia, Monaco e Berlino. Docente a Venezia, in pensione. Da anni si occupa anche di folclore alpino e di minoranze linguistiche ladine.
[Adina Guarnieri]