Messner e il fascino eterno delle Tre Cime
Documentario celebrativo del 150° anniversario dell’ascensione alla Cima Grande
Immagine tra le più suggestive nell’iconografia delle Alpi, le Tre Cime di Lavaredo rappresentano per gli alpinisti una sorta di monumento non intoccabile, ma che è doveroso affrontare.
Per i 150 anni dalla prima ascensione della Cima Grande, effettuata il 21 agosto 1869 dall’alpinista viennese Paul Grohmann assieme al pusterese Franz Innerkofler ed all’austriaco Peter Salcher, Reinhold Messner si dedica al racconto delle vicende che hanno trovato su questa vetta il loro compimento. In occasione della presentazione del documentario Die Grosse Zinne – La Cima Grande, che si è tenuta al palaghiaccio di Dobbiaco lo scorso 21 agosto, abbiamo incontrato Markus Frings, produttore di questo avvincente lungometraggio.
Frings, quale particolare fascino esercitano le Tre Cime sull’immaginario collettivo?
Al di là del fatto che siano considerate ormai il simbolo delle Dolomiti, le Tre Cime rappresentano un’innegabile meraviglia naturale. La Cima Grande di Lavaredo è, come afferma Messner, una delle montagne più belle del mondo. Le sue pareti e i tanti alpinisti e arrampicatori che le hanno affrontate sono i protagonisti di una storia iniziata 150 anni fa, con l’ascensione alla più grande delle Drei Zinnen ad opera di Paul Grohmann.
In che modo è cambiato nei decenni il modo di avvicinarsi a questo monumento naturale?
Grohmann era curioso di sapere cosa ci fosse in cima, tanto da portare con sé vari strumenti per misurare pressione atmosferica, temperatura e altri fenomeni. Il suo approccio era quello dell’esploratore interessato a capire come la natura si potesse esprimere ad alta quota. Successivamente l’atteggiamento degli alpinisti è diventato quasi di sfida, caratterizzato dalla ricerca della via di ascesa tecnicamente più difficile. Nel 1911, Dülfer si accostò per primo alla parete ovest della Cima Grande con l’intento di scalarla impiegando solo tre chiodi. Ci riuscì e a lui è intitolata una famosissima via sulla parete occidentale. Negli anni ‘30 fu Emilio Comici che alzo il limite del possibile superando, con grande meraviglia, la parte nord.
Come ha accolto Reinhold Messner la sua proposta di curare la regia di questo documentario?
In maniera entusiastica, anche perché la storia dell’alpinismo, come dimostrano i suoi ultimi libri, è diventata per lui un argomento di grande importanza. È stato lui a suggerire di ampliare il progetto proposto dalle associazioni turistiche interessate dalla Cima Grande, andando oltre la storia di Paul Grohmann e comprendendo i 150 anni intercorsi dalla prima ascensione. Ovvero la storia dell’arrampicata moderna e contemporanea. Abbiamo quindi scritto assieme uno storyboard che è stato presentato alla IDM Film Fund & Commission. Grazie a questa, a Servus TV e Rai siamo stati in grado di realizzare il progetto.
Quale forma narrativa avete scelto?
Si tratta di un documentario che, impiegando materiali e abiti dell’epoca, racconta le vicende dei protagonisti di queste avventure.
L’essere Messner stesso un alpinista, forse il più celebre di sempre, con le sue visioni e opinioni, rappresenta un motivo di maggior attenzione nelle sue scelte di regista?
Sicuramente. Visto il suo personale coinvolgimento in quest’ambito, il racconto delle vicende narrate nel documentario gli ha richiesto di trovare una certa forma di distacco. La ricerca storica svolta per la realizzazione di quest’opera ci ha sicuramente aiutato a garantire ai fatti la giusta oggettività. Con il nostro lavoro abbiano cercato di valorizzare la montagna, evidenziando ciò che essa e l’uomo hanno vissuto assieme. Inizialmente gli uomini volevano capire che caratteristiche avesse l’ambiente alpino, poi le cime sono diventate qualcosa da conquistare e quindi non proprio un nemico, ma un antagonista con cui confrontarsi per trovare il proprio limite.
Gli ultimi cinquant’anni della vita di Messner sono in questo senso paradigmatici.
Da scenario per bei film a soggetto di documentari, pare che la montagna sia diventata protagonista “in carne ed ossa”...
Sì, in un certo qual modo. Ma è la relazione uomo-montagna, con le vittorie e le sconfitte che la caratterizzano, la vera protagonista del nostro racconto.
[Mauro Sperandio]