Ivo Corrà: fotografare per scoprire
“L’arte si può raccontare anche attraverso una serie di fotografie”
Bolzanino, classe 1969, Ivo Corrà è un apprezzato fotografo e mediatore artistico, che svolge la sua attività in differenti contesti: dalla fotografia di opere d’arte a quella propriamente artistica, su commissione in ambito commerciale e in assoluta libertà nella realizzazione di propri progetti.
Se la lanterna serviva al filosofo Diogene per la ricerca dell’Uomo, è l’obiettivo lo strumento che aiuta Corrà nella sua indagine alla scoperta dell’umanità o, meglio, delle tante umanità.
Fotografo d’arte e artista-fotografo. Ha bisogno di addomesticare la sua indole artistica nel momento in cui immortala il lavoro degli altri?
Non mi reputo né l’uno né l’altro. Io sono un fotografo. La categoria comprende chi ritrae i bagnanti al mare e chi le top model. In mezzo c’è di tutto. Il lavoro che svolgo e dove verrà pubblicato definiscono il fotografo che sono. Le immagini che realizzo possono essere di tipo commerciale, documentare luoghi e situazione, raccontare storie o veicolare delle idee. Lavoro e vivo con la fotografia, impegnandomi in lavori personali di ricerca estetica che necessitano di finanziamenti per essere portati a termine e con opere su commissione, che svolgo con pari entusiasmo.
Fotografare l’arte, quindi documentare una mostra, mi dà soddisfazione. Conosco l‘arte, per formazione e per professione; l‘attività ventennale di mediatore svolta a Museion mi è stata molto utile, e non solo, in questo caso. Raccontare l’arte lo si può fare anche attraverso una serie di fotografie. Il confronto con l’arte, conoscere i suoi processi e strategie per me è un grande aiuto, in fase di progetto e nel momento dello scatto.
La professione del fotografo è sostanzialmente solitaria, ma guardando al lavoro con e per gli artisti e all’attività di mediatore, chiedo: le piace lavorare in compagnia?
Di carattere sono un po’ orso e un po’ animale sociale. Mi godo la solitudine dello scatto e della post-produzione, ma credo che il confronto e la collaborazione con i colleghi sia fondamentale. Tanto nella progettazione quanto nell’esecuzione dei vari lavori.
Come vede la pratica dell’autoritratto? Che rapporto ha con la sua immagine immortalata da altri?
Intorno ai vent’anni, al tempo dei miei studi, ho praticato molto l’autoritratto. Interessato alla fisiognomica, ho realizzato una serie fotografica dove assumevo le espressioni facciali più disparate, per esprimere i diversi stati dell‘animo. Credo che fotografarsi sia una modo per conoscere meglio sé stessi e per capire come la gente ti può vedere. Oggigiorno mi fotografo meno, ma tengo monitorati i miei cambiamenti. Se ho bisogno di un ritratto me lo faccio da solo, anche le fototessere, simulando la luce delle “macchinette”. Riguardo le foto che gli altri scattano a me, mi incuriosiscono, e mi piace vedermi in azione, e da prospettive non praticabili attraverso l’autoritratto.
Autoritratto, precisiamo, non selfie.
Il selfie è un’immagine molto superficiale, che è caratterizzata non dall’unicità ma dall’omologazione: nelle pose, nelle espressioni, ma anche dalla velocità nell‘esecuzione. Da anni porto avanti un progetto sul tema del ritratto che coinvolge gli alunni delle scuole, da quella dell’infanzia alle superiori. Partendo dalla storia dell’arte e da ritratti di autori importanti, come Da Vinci e Renoir, parlando di postura ed espressione invito questi giovani e giovanissimi a riflettere sulla propria immagine e rappresentazione di sé. In un piccolo set fotografico allestito in classe realizzo con il loro aiuto i ritratti che nella fase conclusiva diventano una mostra negli spazi scolastici. Le reazioni di fronte al proprio autoritratto sono le più varie, ma tutte accomunate da una nuova scoperta di sé.
Ad un fotografo di fuori regione che consigli darebbe per confrontarsi con il nostro territorio?
Consiglierei di studiare bene la storia, la cultura e la lingua di questa terra, per avere un confronto più profondo con il territorio e le persone che ci vivono. Se parliamo di territorio in termini di paesaggio, il nostro è grandioso, ma talmente perfetto che c’è il rischio di creare delle cartoline. Quando però cambia la luce, è in arrivo un temporale o c’è la nebbia, tutto diventa interessante.
[Mauro Sperandio]