Il Dylan ignoto raccontato da Andrea Brillo
Il collezionista bolzanino ha pubblicato un libro in inglese sul menestrello
Il bolzanino Andrea Brillo ha già avuto positivi riscontri a livello internazionale, vista la fama del soggetto indagato dal suo recente libro in lingua inglese: “Basement Tales. Bob Dylan - The Basement Tapes On Disc (1968-2014)”.
Un Dylan analizzato in uno dei non pochi momenti di svolta della sua carriera, quando nel 1967 all’apice del successo si ritirò dalle scene per vivere in campagna, riprogrammando nello scantinato di Big Pink il suono delle sue future uscite discografiche insieme a The Hawks, il gruppo che lo aveva accompagnato nell’ultimo tour mondiale da rock’n’roll star e che stava mutando il proprio nome in The Band.
Brillo, uno dei maggiori collezionisti continentali delle opere del menestrello, sa bene dell’importanza rivestita da quelle sessioni di registrazione che, pubblicate in estratto dalla Columbia appena nel 1975 con il titolo di The Basement Tapes, avevano iniziato quasi da subito a circolare clandestinamente tra gli estimatori dando di fatto vita al fenomeno dei bootleg, in italiano dischi-pirata, estesosi poi negli anni a tutti i nomi di spicco della scena musicale mondiale. Solo a buoi già scappati Dylan e la sua etichetta proveranno a chiudere il cancello di quel mercato nero grazie alla periodica pubblicazione degli archivi, ufficializzati non a caso sotto l’evocativo nome di Bootleg Series, l’undicesima uscita dei quali nel 2014 farà menda del limitato precedente di quarant’anni prima con un box che conterrà centoquaranta estratti di quelle mitiche prove, tutti take già oggetto di culto dei fan quando figuravano su vinili illegali passati alla storia come Great White Wonder, Little White Wonder o Troubled Troubador.
Nella deliziosa introduzione al volume, il dylanologo Alessandro Carrera chiama quelli usciti dal seminterrato di Woodstock “nastri dell’inconscio”, perché testimonianza di un processo creativo delle canzoni basato sull’improvvisazione, simile a quello dei jazzisti che seguendo il solista spesso non sanno nemmeno dove si stanno avventurando. Una sperimentazione dettata dall’esigenza di Dylan di cambiare pelle musicalmente e a livello poetico, i cui effetti si percepiranno negli ultimi suoi due album dei ’60, John Wesley Harding e Nashville Skyline, il cui impatto prevalentemente negativo sui fan dell’epoca accrebbe la curiosità per i misteriosi nastri che l’artista non aveva voluto rendere pubblici, piratati su disco come si è detto in decine di versioni, tutte raccontate e rese anche visibili grazie al puntuale apparato fotografico garantito dal libro, disponibile su tutte le piattaforme on line.
[Daniele Barina]