Il potere della musica corale
Intervista a Francesco Antimiani, artista e direttore del Coro misto DiapaSong
Dal coro monodico delle tragedie greche ai canti cristiani, dal canto gregoriano alle polifonie, profane o popolari che siano, dal gospel e lo spiritual fino ai cori alpini, dopo l’ingresso come materia nei Conservatori di Stato e la sua uscita sul mercato dell’easy listening (per esempio doo wop statunitense, Schola cantorum a Roma), qualunque musica corale esercita da sempre il suo potere d’attrazione sulle persone e non solo all’ascolto.
Pare infatti che il detto “canta che ti passa” non si riferisca a un esercizio solipsistico della voce ma derivi proprio dalla tradizione corale: cantare in coro fa bene allo stato mentale di chi lo pratica, riduce l’ansia, allena la memoria, aumenta le difese immunitarie, combatte la solitudine e l’isolamento sociale, allungando in definitiva la vita. Ne parliamo con Francesco Antimiani, insegnante presso l’Istituto Musicale Vivaldi di Bolzano e direttore del locale Coro misto DiapaSong.
Quali sono le sue origini e il legame con Bolzano?
Io sono umbro, vivo a Valeggio sul Mincio in provincia di Verona da più di vent’anni e quindi sono ormai adottivo di quelle parti. A Bolzano insegno da due decenni al Vivaldi ma frequento la città anche artisticamente perché lavoro in teatro nei musical e dunque ho avuto modo di portarci la mia attività non didattica.
Ha cd all’attivo come compositore o riarrangia solo musiche di altri autori?
Nasco come cantante e attore, poi mi sono dato alla regia e da dieci anni anche alla composizione, qualche volta finita su cd essendo il musical costituito principalmente dalle sue musiche.
L’esperienza con Riccardo Cocciante nel musical Notre-Dame de Paris è stata utile?
Mi ha dato un po’ di popolarità in più nell’ambiente perché Riccardo era già un compositore affermato e Notre-Dame un successo andato in scena per vent’anni, tre dei quali hanno visto anche la mia partecipazione. È stato molto interessante e formativo, mi ha dato la possibilità di esibirmi davanti a platee molto più vaste rispetto a quelle cui ero abituato e ciò corrisponde a fare esperienza. Lui i suoi artisti li sceglie di persona, è come un padre che ti dà i consigli e ti fa entrare nel suo mondo...
Con il Coro misto DiapaSong che lei dirige ci sono impegni in vista?
Ci hanno appena spostato l’appuntamento ottobrino al 12 novembre, quando nella chiesa dei Domenicani a Bolzano canteremo la Misa Criolla del compositore argentino Ariel Ramirez all’interno della funzione religiosa delle ore 10, cioè tra i vari momenti della normale messa. Sarà eseguita per coro, solista, chitarre, clavicembalo e percussioni…
Però, oltre a quella più seriosa, il coro che dirige ha anche un’anima più faceta che ci riporta un po’ agli esperimenti della Schola Cantorum nei ’70…
Nella mia lunga carriera (ride) ho collaborato persino con Alberto Cheli che era la voce guida maschile di quel gruppo! Mi sono invero formato in maniera molto classica prima di darmi al teatro musicale, avendo studiato al Conservatorio di Perugia pianoforte e canto, quindi anche direzione di coro: è stato quello un primo approccio con la direzione. Poi, pur frequentando e facendo frequentare al Coro DiapaSong i brani della classicità così importanti anche a livello di studio, ho sempre avuto passione per la musica popolare, per l’approfondimento di quel genere e di tutto ciò che è un po’ più ritmato o più moderno. Ecco che anche nel caso del DiapaSong, pur non estraneo di suo a queste suggestioni, sto provando a portarlo verso un repertorio non scontato. Anche quando ci dedichiamo alla musica sacra proviamo a farlo in maniera diversa, con accenni alla musica del ‘900 o a quella dei musical che sono a loro volta debitrici del pop.
È difficile trovare il giusto equilibrio tra queste inclinazioni nel repertorio di una serata?
Tra Sacro e profano era il titolo del nostro ultimo spettacolo, a riprova di quanto mi piaccia la mescolanza tra le due modalità, organizzandola in un modo non scontato. Certo, poi occorre fare cose che il coro che dirigi in quel momento sia in grado di fare, quindi bisogna conoscerlo per vedere le sue effettive possibilità, farlo studiare: questo è il primo parametro per arrivare a costruire uno spettacolo, mentre il secondo è dato dall’avere un repertorio vasto che copra sacro e profano, alternandoli anche secondo la natura dell’ambiente in cui ti devi esibire, una chiesa, un teatro o altro. L’importante è comunque che il coro acquisti una sua identità, non ripiegandosi sul già sentito da parte del pubblico, per tenerne desta la curiosità anche quando ti avessero preceduto cinque altri cori.
Insegnare a cantare in una dimensione corale è più semplice che farlo con un solista?
In Istituto insegno canto individuale ed è un lavoro un po’ diverso rispetto a farlo per un coro: al di là della tecnica il primo favorisce la personalità, la riconoscibilità dell’interprete, nel secondo caso al contrario la voce deve essere a servizio dell’amalgama corale, dunque usata in maniera accorta e particolare, il che richiede un’ancor maggiore padronanza della tecnica.
Ha un sogno Francesco Antimiani come artista?
Non mi pongo traguardi incredibili ma solo quelli raggiungibili. Il prossimo è portare in Spagna, mercato che mi piace molto e nel quale cerco d’inserirmi da anni, un mio lavoro in spagnolo, lingua che parlo. Pare proprio che potrà esservi ospitato la prossima primavera…
Titolo?
El secreto de mi alma.
[Daniele Barina]