Due nuovi curatori a Merano Arte
Lucrezia Cippitelli e Simone Frangi nominati per il prossimo triennio
Quando un 2023 ricco di eventi artistici sembrava ormai destinato a salutarci senza più novità, Kunst Meran Merano Arte ha presentato ufficialmente alla stampa Lucrezia Cippitelli e Simone Frangi, curatrice e curatore recentemente nominati per la programmazione del prossimo triennio di mostre nel sempre attivo e più internazionale spazio espositivo dedicato all’arte contemporanea.
Docenti universitari, rispettivamente di Estetica all'Accademia di Brera e di Teoria dell'arte e Cultura Visuale presso l'ESAD - Accademia di Belle Arti e Design di Grenoble, impegnati nella curatela e nella critica d’arte, proporranno un interessante, originale e paideutico programma. Li abbiamo incontrati per scoprire la loro visione curatoriale.
In un momento in cui sembra che l’attenzione per ogni tipo di diversità stia crescendo, di quali “fini utilitaristici” possiamo investire l’arte?
L’idea dell’arte come strumento utilitaristico avrebbe fatto venire l’orticaria ai nostri professori universitari, che non facevano che ripeterci “l’art pour l’art”. L’esserci confrontati con esperienze artistiche e teoriche extra-europee ci ha permesso di capire che ciò che ci è stato sempre proposto come familiare e “naturale” era solo una delle molteplici comprensioni possibili dell’arte nel mondo. Per entrambi, il confronto con le estetiche decoloniali di Abya Yala, il nuovo umanesimo filosofico africano o il pensiero delle teoriche della diaspora post-coloniale algerina in Francia (per citarne solo alcuni), ha significato capire, per esempio, che l’arte può essere una forma d’azione e che la critica d’arte può ampliare la sua operatività anche alla critica sociale e politica.
I planisferi mostrano in maniera distorta le proporzioni tra i continenti, come li ridimensiona il vostro programma?
Abbiamo pensato il titolo del progetto triennale per KMA citando Yves Valentin Mudimbe e il suo L’invenzione dell’Africa, un libro emblematico nel mostrarci come l’idea di questo continente enorme sia stata ridotta a una serie di immaginari che hanno più a che fare con lo sguardo e le aspettative di chi non ci vive: degli europei che hanno iniziato ad esplorarla alla fine del nostro Medio Evo, delle comunità diasporiche dell’Atlantico del nord e del sud, della diaspora moderna e contemporanea formatasi sulla rotta delle migrazioni in cerca di una vita diversa in Occidente, ma anche di quelle - meno note - di studenti, ricercatori, lavoratori che si sono mossi nel Sud Globale nella seconda metà del Novecento, seguendo rotte di solidarietà e cooperazioni tricontinentaliste.
Il progetto che portiamo a Merano è una ricerca sulla complessità delle cose. Come l’Africa, anche l’idea essenzialista di Europa è una invenzione, un concetto immobile e innaturale, perché la trasformazione continua fa parte della vita e così il flusso incontenibile dei cambiamenti e degli incontri. Per uscire da noi stessi, da questa idea che è un’invenzione più che una realtà, ci facciamo aiutare dallo sguardo degli artisti che hanno le loro radici in mondi fuori dall’Europa, pur essendo europei.
La prima mostra?
Sarà l’esposizione collettiva The Insubric Line / Die insubrische Linie / La Linea Insubrica, che raduna un gruppo di artiste e artisti internazionali attorno all’immagine speculativa della linea insubrica, un geo-punto che attraversa la città di Merano, una cucitura nella superficie terrestre emersa a seguito della collisione tra la placca tettonica europea e quella africana. La narrazione costruita a partire dal Rinascimento di un continente bianco, cristiano, progredito, in continua evoluzione ed espansione, e del quale si tenta di sottolineare un aspetto identitario che mantenga la sua purezza - seppur declinata in lingue e specialismi regionali - è messa in crisi da una realtà geologica che materializza la complessità della storia, iniziata, nel caso dell’incontro tra Africa ed Europa, 65 milioni di anni fa.
Partendo da questo fatto, si comprende subito che i due spazi continentali sono stati “simbolicamente allontanati” proprio per dissimulare la loro “co-appartenenza” originaria. E questo allontanamento ha sfruttato rapporti di forza come il colonialismo, il razzismo le economie predatorie come strumenti per costruire e poi sancire la differenza tra un’Europa civilizzatrice e un’Africa pre-moderna.
Anche il mercato dell’arte africano è una risorsa saccheggiata?
Anche nel sistema dell’arte - che è chiaramente un riflesso delle costruzioni geopolitiche ed economiche - sono osservabili processi di “invenzione” identitaria, alcuni stancamente trascinati dalla modernità nella contemporaneità, altri di nuovo corso. Il Modernismo artistico, forgiato in Europa sull’idea di progresso sia culturale che tecnologico, ha escluso per lungo tempo produzioni creative degli altri continenti, esotizzandole, interpretandole come espressioni primitiviste.
In Italia, la legittimazione di artiste e artisti del continente africano o afrodiscendenti sembra possibile solo a determinate condizioni: precisi dogmi estetici, tematiche affrontate nelle produzioni, politiche di diversità.
Gli ultimi anni sono stati esemplari da questo punto di vista, poiché le buone pratiche di valorizzazione delle produzioni artistiche dal o nel continente africano sono state affiancate da forme di vampirizzazione ed estrattivismo guidate da istituzioni, quindi parecchio visibili, senza una ricerca storica ed un sostrato etico alle spalle. Le trappole sono sempre in agguato ed anche noi, due bianchi privilegiati, dobbiamo fare attenzione a non cadere nel vampirismo esotizzante. Ma dobbiamo sottolineare che per questo il progetto triennale che proponiamo parla di Europa, non di Africa (o Americhe, o Asia).
Quali analogie con il fenomeno colonialista è opportuno evidenziare e quali distinguo sollevare riguardo all’Alto Adige?
Il programma triennale The Invention of Europe. A tricontinental narrative (2024-2027) ha l’ambizione di riflettere criticamente sull’idea monolitica d’Europa e sulla sua narrazione essenzialista, sempre a partire dall’Alto Adige, un territorio plurilingue, posto tra le “moderne” Italia ed Austria, le cui comunità sono state nei secoli attraversate da poteri politici ed economici che si sono avvicendati e sfidati, a dispetto della realtà concreta del territorio. Questo è il motivo che ci ha spinto a voler inserire in ognuna delle mostre collettive che apre le annualità di ricerca almeno una “Commissione Kunst Meran”, ovvero l’invito ad un artista a concepire un nuovo lavoro da realizzarsi anche attraverso un percorso di ricerca sul territorio, trascorrendo periodi di residenza presso l’istituzione. Queste “commissioni territoriali” saranno lo strumento per misurare la prossimità e l’impatto della storia di costruzione ideologica dell’Europa, al centro del nostro progetto critico, anche nel cuore del tessuto cittadino.
[Mauro Sperandio]