I “grandi successi” dei Discodex
è uscito “Greatest Hits” dei bolzanini Zottino e Beggio dedicato agli anni ’70-’80
Ambiscono a salire direttamente in consolle nei locali della Riviera romagnola, senza avere mai frequentato le discoteche come clienti, dall’alto di due diplomi al Conservatorio e di una persistente passione per punk, hardcore ed elettronica sperimentale.
Sono i Discodex, alias i bolzanini Emanuele Zottino e Andrea Beggio, già bassista e chitarrista di diverse formazioni degli ultimi quarant’anni, da Elio Canal e i Nora fino ai Khalmo, dai Controfase ai Chroma. Ironicamente, il titolo del loro primo cd in questa inedita veste di esegeti della disco music anni ’70 - ‘80 dello scorso secolo è Greatest Hits, i più grandi successi, forse con riferimento ai campionamenti operati sui migliori nomi di quella scena, forse all’attenta selezione di vent’anni di divertissement domestici inediti.
Un disco non cantato sembra quasi un omaggio al genius loci che fa dell’incomunicabilità e della riduzione al silenzio una delle sue prerogative...
E.Z.: Ne parlavo con la mia compagna che è di Monaco e quindi ha un punto di vista altro: quando ero piccolo c’era contrapposizione tra noi e loro, mentre adesso c’è l’indifferenza dei giovani di entrambi i gruppi. Mi chiedo se davvero un sistema che porta a questo sia universale come sento dire.
A.B.: L’intervento è riuscito, il paziente è morto... Quello che m’inquieta di più è vedere gli altoatesini di lingua italiana convinti della bontà del modello.
E.Z.: Perfino nei luoghi più squallidi o provinciali del mondo si avverte il bisogno di costruire nel tempo un’identità, anche a partire dal negativo o da quello che c’è: mi auguro che le generazioni future abbiano un percorso di consapevolezza per uscire da questo limbo, benché ogni posto e ogni condizione siano una fonte possibile di creatività artistica.
Molte città sono legate indissolubilmente a un genere musicale anche differente da quello della tradizione del posto, non pensate che la vostra recente proposta tra Kraftwerk, Moroder e l’afro del Cosmic, potrebbe assurgere a “sound di Bolzano”?
E.Z.: Tu dici forse che il sintetico esprime bene una realtà un po’ neutra come la nostra, un’identità solo esibita? In effetti è artificiale anche il modo in cui s’insegna la lingua altrui...
A.B.: Il folk tirolese è ormai pura plastica, pochi sono i gruppi che tentano una ricerca all’interno del genere, come fanno Opas Diandl o Herbert Pixner. Nei Balcani, per esempio, la musica è sempre stata mischiata con l’Austria-Ungheria, il Mediterraneo a elementi della musica araba.
Che significato cela il nome Discodex?
E.Z.: La prima parte del nome è riferita alla componente di pancia della musica da ballo, a vibrazioni e stomaco, la seconda al cervello, cioè a un codex, un codice che presuppone un minimo d’intelligenza.
A.B.: Come gli artisti dell’italo-disco che fu, abbiamo celato nel nome il nostro scopo, un po’ alla Den Harrow (ndr.: Stefano Zandri) il cui nome d’arte si basò sull’inglesizzazione della parola italiana denaro.
Nel riproporre dal vivo il cd, resta ancora spazio per la manualità e l’improvvisazione: sentivate anche l’urgenza di umanizzazione delle macchine che rendono quasi superflua la capacità di suonare?
A.B.: Con l’elettronica mi pare di giocare all’Allegro Chirurgo, hai già tutti i pezzi in ordine e li puoi prendere, smontare e rimontare liberamente.
E.Z.: C’è un lavoro precedente di programmazione per poter poi gestire dal vivo nel modo più libero possibile tutte le componenti dei brani e le melodie che io suono sopra, tra l’altro con un synth analogico.
A.B.: Però, se per esempio lui si rompesse una mano, io potrei fare il concerto da solo... (ndr.: ridono)
Come avete composto le musiche del cd?
A.B.: Abbiamo pescato un po’ di campioni del periodo, però a differenza della musica dei Novanta che ci ha consegnato fenomeni come Prodigy, Portishead o il trip-hop le cui composizioni erano totalmente campionate da colonne sonore, bellissime anche nel non dare l’idea di essere interamente composte di campioni tale e tanto il ricorso che ne facevano, noi vogliamo invece che i nostri restino riconoscibili.
E.Z.: Il lavoro, un po’ ciascuno a casa propria e un po’ insieme in studio, è però ancora in parte compositivo con carta e penna per sviluppare il concetto armonico-melodico, mentre per la parte elettronica usiamo Ableton come tavolozza d’assemblaggio.
Il nuovo di una volta, punk, hardcore, wave, grunge, ora pare da museo: dove sentite il futuro?
E.Z.: Io mi sforzo di ascoltare cose più nuove, mi piace Madame che però dovrebbe studiare di più perché è un po’ arrogante e pensa di sapere tutto: ho regalato il suo cd a mia figlia…
A.B.: Young Signorino! Post esilaranti su Facebook, è diventato dark tipo Ian Curtis, solo con la voce distorta… Poi terrei d’occhio i Viagra Boys, svedesi dal rock pesante e dalla voce bellissima.
[Daniele Barina]