Il cd ad alta tecnologia prodotto in casa
Luca Sticcotti parla di “With Act. 1”, l’album composto con Sandro Giudici
Registrato in casa usando alta tecnologia e nel comfort più totale, con gli ospiti chiamati a impreziosirne le trame sonore meticolosamente selezionate e composte dall’inedito duo, il cd “Whit Act. 1” di Luca Sticcotti e Sandro Giudici, già disponibile nei negozi, non sarà presentato dal vivo prima di questo autunno.
Nonostante la lunga esperienza di entrambi, per il pianista e il batterista bolzanini si tratta di un’opera prima, peraltro a giudicare dal titolo preludio di future iterazioni, nata a strati per esplorare nuove possibilità più che contingentata da esigenze di spettacolo. Per Luca Sticcotti, compositore d’ambito prevalentemente classico, strumentista, pittore, programmista radiofonico, giornalista, siamo di fronte a una vera svolta stilistica verso un nu-jazz di matrice europea, giocato sull’uso degli strumenti elettronici.
I nativi analogici sentono spesso di essere vissuti in un’era dalla tecnologia incerta, tu invece ci sguazzi?
Ormai mi destreggio abbastanza bene e all’occorrenza ho un figlio che è un genio della tecnologia, a otto anni già riusciva a hackerare la rete dei vicini di casa...
Sorprende comunque, date le tue precedenti composizioni d’ambito classico, contemporaneo o jazz.
La classica è nata per me all’inizio dei Duemila, quando già da una vita suonavo cose mie che non facevo mai sentire a nessuno. A Merano ho incontrato per caso Marcello Fera, che ha ascoltato qualcosa e mi ha chiesto di scrivergli delle musiche. La voce è girata e sono arrivate commissioni da formazioni che finalmente mi pagavano: musica da camera, un quintetto di prime parti dell’Orchestra Haydn, l’Amarida-Ensemble, il Festival di musica contemporanea con formazioni più nutrite, come quella fiatistica dei Windkraft con l’aggiunta di archi e percussioni, così da permettermi anche di scrivere per piccole orchestre.
Perché allora esplorare territori tanto diversi?
A me piace saltellare da un genere all’altro, fare cose un po’ zappiane, mi piacciono le melodie, ci infilo armonie jazz che speravo mi avrebbero consentito di sviluppare una produzione originale anche in questo campo. Ma i jazzisti in provincia sono incredibilmente pigri, si accontentano di lavorare su standard e dintorni. Assecondano il pubblico in una corsa a ritroso: prima facevano hard be-bop, poi be-bop, dopo dixieland, infine vanno a raccogliere il cotone nei campi e suonano blues. D’altronde, chi glielo fa fare di faticare a studiare pezzi nuovi per poi suonarli in tre occasioni e basta?
Non c’è però solo un vago spirito di rivalsa a giustificare questa scelta, immagino.
C’è il fatto che se suoni il pianoforte è difficile trovarne in giro uno decente e quando accade che lo strumento sia accordato sei in un club dove c’è un casino pazzesco. Il piano amplificato suona da schifo e io puntavo sull’acustico, così dopo una manciata di concerti mi sono stufato e ho abbracciato gli strumenti elettronici.
Ci si impiega molto a mutare il proprio bagaglio stilistico e strumentale?
A livello di suoni virtuali, quelli associati ai sequencer, ho passato del gran tempo a selezionare i miei e, non pago, sei anni fa ho anche incominciato a dipingere acquerelli, scimmiottando un po’ fumettisti come Gipi e i loro modelli nordici o giapponesi. Spinto da amici, ho fatto un paio di mostre riuscendo a guadagnare anche lì un po’ di soldi che ho subito reinvestito nell’acquisto di synth, strumenti analogici degli anni ’70-’80, tipo Roland Juno, Korg e altre diavolerie vintage, senza tralasciare invenzioni recenti come workstation tra le più serie. Ecco che il cd è interamente elettronico, un mix di queste tecnologie.
In tal senso sembra ispirato alle atmosfere di certo jazz sperimentale norreno, degli anni ’70 e degli ultimi vent’anni, con una chiara predilezione per Bugge Wesseltoft…
È uno dei miei punti di riferimento, l’ho conosciuto negli anni in cui a Laives c’era un festival jazz e, da quando ho visto come lavora, io sono in quella dimensione lì, con l’acustico che si mescola all’elettronica, attuale o vintage che sia, ma in una logica d’improvvisazione molto moderna, modale. L’innesco per provare a dare concretezza a queste fascinazioni me l’ha offerto la pandemia. Sandro Giudici che non ha il computer, non ha figli, non ha una moglie ma dispone di una batteria elettronica professionale, era a casa dal lavoro e così gli ho lasciato fuori dalla porta un registratore perché provasse a metterci qualche ritmica. Siamo andati avanti a scambiarci i progressi su WhatsApp fino a che non abbiamo potuto trovarci per improvvisare insieme. Le risultanze ci convincevano e abbiamo aperto il progetto ad altri musicisti: Michele Baldo e Gregor Marini alla chitarra, Mirko Giocondo al basso e Walter Civettini alla tromba.
[Daniele Barina]