L’artista che ama l’organo e Carlos Santana
Mauro Franceschi è uno dei pochi compositori per chitarra elettrica al mondo
Imbraccia un’elettrica Klein che ha preso dal fabbricante, Mauro Franceschi chitarrista e compositore bolzanino di contemporanea, insegnante di musica e giornalista come ben sanno i lettori di Inside, quattro album all’attivo, sonorizzazioni per musei, musicazioni di scena, di film e video, l’ultima delle quali stupenda per l’altrettanto ottimo dvd “UR La poesia invincibile” di Michele Menegon, fotografo e ricercatore presso il MUSE di Trento.
Oltre a lui, nel mondo i compositori per chitarra elettrica si contano sulle dita di una mano, il settantunenne Loren Mazzacane Connors, Tim Brady, Scott Johnson, Atle Gundersen, Steve Mackey, nomi poco noti al grande pubblico.
Con tutto il rispetto per i morti e per il lavoro, quello del Covid è stato un periodo d’oro?
Sì, ho scritto un manuale di armonia jazz per l’editore pugliese Workin’ Label e musica nuova al piano, spartiti che prevedo di suonare con la chitarra elettrica processando molto il suono, come ho fatto con Peace Piece di McLaughlin udibile in Soundcloud. Ho riscoperto Christian Fennesz, un austriaco che mi ha fatto riflettere su quanto sia importante il timbro più che le note stesse. Quando venne qui espressi entusiasmo per il suo Venice, aggiungendo che una volta in vaporetto con le spalle al vano motore e ascoltando tutti i suoni, le vibrazioni e l’acqua, mi sembrava di sentire la struttura di un suo pezzo, Circassian. Lui mi confermò di averlo scritto a Venezia, città che trova bellissima e ha definito “un’amplificatore per chitarra” perché si sente tutto.
Un giudizio sul Festival di musica contemporanea bolzanino?
45 edizioni quest’anno, il festival aveva un budget e faceva parte di un certo movimento culturale, basti pensare che a Bolzano sono arrivati Karlheinz Stockhausen e Steve Reich con il suo Ensemble. Poi con i tagli il festival ha trovato una location ideale al Museion e Hubert Stuppner è stato bravo a reinventargli un’identità forte lungo due direttrici: da un lato dando spazio ai musicisti locali, dall’altro ricominciando a commissionare opere.
Come sono stati i tuoi inizi?
Ero al Rainerum, ho sentito l’organo suonare e ho pensato dentro di me che cosa meravigliosa ma non l’ho detto a nessuno perché credevo che a tutti i bimbi facesse quell’effetto.
Anni dopo uno zio mi ha regalato una chitarra scalcagnata e lì ho sognato di comporre un giorno una melodia. Finita l’università al DAMS ho approcciato l’elettrica. Mai suonate cover rock. A 15 anni un amico mi aveva fatto sentire John McLaughlin e io partii in autostop per vederlo, era il concerto degli Shakti a Viareggio. Mi piaceva anche Santana e solo dopo ho messo a fuoco il perché: per il timbro e per il suo indugiare con la chitarra davanti all’ampli andando in Larsen. Così della classica amo solo quando l’orchestra accorda e dopo è noia totale...
Come ti definiresti come musicista?
Non sono un virtuoso eppure mi esibisco nei festival internazionali, sono stato un rappresentante della cultura italiana all’estero per il ministero, in Argentina dove eravamo in 40 e uno si chiamava Abbado. Ho trovato questa maniera originale di esprimermi nella classica contemporanea per chitarra elettrica. Uso un software per chitarra rock sul pc e sfrutto anche gli errori della macchina stessa, perché fanno comunque parte della musica. Con 99 euro ho tutti gli effetti che voglio e ne traggo strutture interessanti: quando sento un suono che mi piace, in pratica è già fatto il pezzo.
C’è una relazione tra dove abiti e la musica che fai?
La casa vecchia si adatta alla mia musica, perché non è tutto misurato o a squadra come nelle case moderne, ha una simmetria complessa che riserva sorprese pur essendo armoniosa.
La modernità? Da musicista contemporaneo ci si sguazza...
Mi disturba il rumore di fondo. Non mi piace l’omologazione negli stili di vita e nel modo di pensare. Persino nell’elettronica il software ci porta tutti in una stessa direzione, pur tra le miriadi di possibilità che offre. Mi addolorano le disuguaglianze sociali, il non poter avere tempi più rilassati e che non si tentino atti rivoluzionari nemmeno a rischio zero come il suonare la chitarra in modo diverso. Mi urta anche il disconoscimento del diritto d’autore, l’idea che la musica debba essere gratis come non implicasse costi. Anche perché poi per Vasco magari uno spende 300 euro...
Suoni poco con altri, perché non provi a fare qualcosa con i mostri sacri di genere che ti apprezzano?
In realtà un paio d’anni fa ho musicato un testo di Ágnes Heller per sei chitarre elettriche e un flauto, quello di Gregorio Bardini. Steve Mackey, in effetti, mi considera molto... Nel 2002 a Reggio Emilia, dopo le prove c’era tutto lo staff della Ricordi in sua attesa ma lui preferì venir via con me. Quella sera prima di salire sul palco mi chiese perché avevo iniziato a suonare la chitarra elettrica, incalzandomi complice: for the girls?
[Daniele Barina]