Luca Calò: voice from the mountain...
Intervista allo storico musicista di Noisegate, Liqid, Waterpipe, Satelliti...
Luca Calò, convinto assertore della ciclicità del tempo, uno dei massimi esperti bolzanini di musica d’ambito non classico, rock e folk inglese in primo luogo, cantante all’inizio e poi anche chitarrista acustico: l’abbiamo sentito durante il lockdown.
Pur scendendo ormai poco dalla montagna al mercato per portare il suo verbo al mondo, a metà degli Ottanta e almeno per la decade successiva ha riscosso il plauso univoco della scena locale che ha fatto a gara per accaparrarsene la magica voce. Grande passione, rigoroso con se stesso, aperto alle influenze esterne in una comunità musicale spesso chiusa e un po’ gelosa, da sempre trasforma le sue case in salon musicali frequentati da musicisti affermati e apprendisti dal cuore puro. L’Inghilterra è la sua patria d’elezione.
Tutto cominciò con una ventata di freschezza, nel 1984, in un posto pieno di cantautori, jazzisti, bluesmen, rockers, arrivano i Noisegate...
Sandro Giudici, Marco Dalle Luche e Michael Seberich: Altrockio 1984. Suonavamo sopra a basi preparate, avevamo il Commodore 64 sul palco e facevamo cose di gusto Japan. Anni difficili quelli per la musica, anche perché a me piaceva John Martyn e invece era iniziata la visualità a tutti i costi, con MTV che aveva decretato la morte della musica. Non mancavano però eccezioni come i Blue Nile o il Gabriel dei primi dischi da solo, e tanti altri che hanno coltivato il colore e la profondità anche nell’elettronica, una strada già aperta dai tedeschi nei ’70. Il suono dei Duran Duran mi pigliava un po’ male...
Con Mariano Keller, Gigi Mongelli, Marco Dalle Luche, Mauro Cabassa è stata poi la volta dei Liqid...
La mia idea personale d’intendere il gruppo non incontrava esattamente i gusti degli altri. Ascoltavo Peter Hammill, Unknown Pleasures dei Joy Division o il debut album di The Psychedelic Furs, quello con Sister Europe, anche se era un fatto di suono più che di genere. Io nessun trasporto per arricchirmi, ibridati un po’ in quel senso invece gli altri. Le idee armoniche partivano da Marco, Gigi era eccezionale e Mariano aveva un drive e un modo di colpire il rullante che era solamente suo. Siamo andati a Milano a suonare alcune volte, poi al Festivalpub a Trento, una specie di concorso dove si poteva vincere la registrazione di un 45 giri. Ho lasciato i Liqid prima di registrare il disco vinto nell’occasione e negli anni dopo con un repertorio originale ho fatto un po’ di date insieme a Manuel Randi, Andrea Rossi , Giudici e Mongelli, ci chiamavamo Waterpipe.
Si possono tentare paragoni tra la scena d’allora e quella di oggi?
La scena è più nutrita oggi di allora, come accade anche a livello internazionale che ormai si risolve in un citazionismo fatto da gente bravissima, ma una volta ci si creava il proprio suono storto ed era la chiave per l’originalità. Non nasce più un Bert Jansch, tanto per capirci. Giravamo i pub con roba nostra originale, oggi è impensabile: la musica, direi ancora fino a tutti gli Ottanta, aveva un ruolo centrale nella società. Scrivere la musica adesso è intrattenimento, prima era una dichiarazione politica. Oggi restano solo le etichette indipendenti. Non sono più le major a rischiare, l’Atlantic che si lanciava con gli Zeppelin o la Track con gli Who. Guarda le classifiche di oggi e quelle del 1974, ti rendi conto di quanto sia cambiata la produzione.
A quando risale l’ultima apparizione dal vivo?
Da dieci anni non suono live, dalla presentazione del disco dei Satelliti cui ho accettato di partecipare a patto che suonassero con me. Quando suoni in loco hai la claque dei conoscenti, un fatto che falsa un po’ le cose, effetto dell’appartenere a questa comunità molto piccola. Fuori di fronte agli sconosciuti dove conta cosa fai e non chi sei, la reazione positiva del pubblico dà molto più piacere. Per me la terapia è cantare, mica esibirsi...
Cosa manca realmente a chi suona qui, cosa non ci rende appetibili in giro?
La società produce quello che poi si sente qui.: la cultura è piccolo-borghese e questi sono i risultati. Il classic rock si ripiega su se stesso ed è giusto così, le culture si mescolano nelle periferie delle megalopoli e non certo a Bolzano. America e UK ti danno i grant se la cosa ha un futuro, tipo per fondare una label nuova oppure uno studio di registrazione, noi con il contributo provinciale facciamo il dischetto per mostrarci bravi. Io carico agli amici i miei video, anche di questi tempi, non mi serve il supporto del cd.
[Daniele Barina]