Il teatro emozionale di Pippo Delbono
Al Comunale di Bolzano arriva “La gioia”: intervista all’attore-regista ligure
Dire che nel teatro di Pippo Delbono “c’è tutto” non significa usare uno slogan a effetto, ma prendere atto che ogni spettacolo del regista e attore savonese è un viaggio attraverso scenari che fondono reale e irreale, emozioni che spaziano dall’abisso della disperazione alle più alte sfere della meraviglia.
Acclamato in tutto il mondo per l’unicità del suo lavoro, Delbono tratta i grandi temi dell’esistenza e della contemporaneità usando parola, danza, musica e maschere per coinvolgere il pubblico in spettacoli che generano un continuum emozionale tra palco e platea. Lo spettacolo che il regista e la sua compagnia porteranno al Teatro comunale di Bolzano dal 19 al 22 marzo è un nuovo viaggio alla scoperta di un sentimento che è vitale forse più di ogni altro: la gioia. EVENTO SOSPESO CAUSA MISURE PREVENZIONE CONTAGIO COVID-19. Abbandonate, almeno per il momento, le scenografie e le incursioni video, Delbono “riempie” il palco di elementi minimi ed essenziali, quasi a voler esaminare in un ambiente puro un sentimento pulito.
A costo di sembrare nichilista, le chiedo: c’è forse del masochismo o dell’ironia nel dedicarsi ad uno spettacolo intitolato La gioia?
Il mio è un “tentativo di gioia”, un cammino verso la gioia, più che un desiderio di raggiungere una gioia definitiva. Nella difficoltà della vita, cerco di trovare dei punti di luce, zone in cui ancora questa gioia esiste.
Come definire questo particolare stato dell’anima?
All’inizio di questo lavoro non ho cercato una definizione da vocabolario, precisa, ma mi sono più che altro concentrato sulla ricerca di parole associate a questo sentimento, a temi e immagini che secondo il mio sentire potevano essere collegate al concetto di gioia.
Il suo è un teatro di movimento, di danza, che rifugge, in senso reale e figurato, l’immobilità dei monumenti. Se sul palco il limite è dato da quinte e quarta parete, nella vita crede che lo spazio d’azione sia delimitato da gioia e dolore?
Il dolore sa essere più forte della gioia e in qualche modo esso ci assorbe, affonda e mangia, ci perseguita e, possiamo dire, uccide. La gioia si presenta così come un riscatto nei confronti del dolore.
Scrivere uno spettacolo intitolato Il dolore avrebbe allo stesso modo comportato il confronto con la gioia?
Forse sì, perché l’uno è il contraltare dell’altra e tra essi sussiste una relazione forte, forse imprescindibile.
Il suo è un teatro che sposa i temi sempiterni e le urgenze sociali e culturali del nostro tempo. La sua personale ricerca della gioia può essere vista come una forma di impegno civile oppure è una questione di sopravvivenza?
Direi che è entrambe le cose e, in più, anche una forma di militanza spirituale, che racchiude in se anche una visione della gioia come forma di spiritualità, un cammino verso questo sentimento.
Lo scorso primo febbraio è ricorso il primo anniversario della morte di Bobò, attore da lei scoperto, sordomuto e analfabeta, nel manicomio di Aversa, dopo un trentennio di internamento. Considerato il profondo legame che si era instaurato tra voi due e l’infinita forza poetica ed espressiva di Bobò, il suo ricordo è per lei fonte di gioia o di dolore?
È sicuramente un ricordo di grande gioia, di grande umanità, bellezza e vita. Pensare a lui suscita allo stesso tempo grande gioia, ma anche dolore.
In che modo, anche se non più fisicamente, sarà presente in questo spettacolo?
Ci sarà la sua voce registrata, ma anche la sua presenza, la sua memoria. Diciamo che, nella sua assenza sarà presente come archetipo del mio teatro.
Sono tanti e colorati, i fiori che compaiono ne La gioia. Quale significato incarnano?
I fiori sono la vita, la morte, la speranza, la gioia, la caducità, il passare del tempo, delle stagioni.
[Mauro Sperandio]