Il mondo è tutto ciò che potrebbe accadere
“E quindi uscimmo a riveder la gente”: il lockdown visto da Gabriele Di Luca
Gabriele Di Luca, giornalista, insegnante ed editorialista del Corriere dell’Alto Adige, è in libreria con il suo E quindi uscimmo a riveder la gente - Diario dalla Grande Reclusione (Edizioni AlphaBeta Verlag), e racconta, attraverso citazioni da libri, articoli e post di amici, la reclusione forzata vissuta durante l’emergenza Covid-19.
Tutto è nato da un decalogo quotidiano postato da lui stesso e che ora è disponibile in libreria. “Tappati in casa facciamo una vita da bruchi, grigi e striscianti (e mancando la possibilità di andare dal parrucchiere, anche molto pelosi): quando usciremo, ci scopriremo forse farfalle?”
Di Luca, provi a tornare all’istante in cui hanno dato la notizia del lockdown. Cosa ha provato in quel preciso istante?
Non ricordo esattamente cosa ho provato. Il lockdown era già nell’aria, perché alcune misure restrittive erano già state approvate prima dell’11 marzo. Quindi non è stata una sorpresa. Diciamo che alla preoccupazione è subentrata una sensazione di certezza al cui interno si faceva largo un’incertezza ancora più grande: quando sarebbe finalmente finita? Ancora oggi, a ben vedere, non abbiamo una risposta definitiva a questa domanda, nonostante abbiamo ripreso a uscire di casa.
Tutti noi abbiamo vissuto in prima persona questa quarantena, ma come verrà ricordata secondo lei in futuro?
Verrà ricordata come un periodo molto difficile, come un evento che ci ha segnato profondamente. Però si moltiplicheranno le interpretazioni, prenderanno corpo varie teorie complottistiche e ci sarà anche qualcuno che tenderà a negare quanto accaduto, come se fossimo stati messi davanti a una grande truffa. Alcune avvisaglie di questa tendenza sono peraltro già percepibili.
Come è stato essere scrittore durante il lockdown forzato? Quali differenze ha notato con lo scrivere durante la vita quotidiana a cui era abituato?
Beh, qui posso dire che il lockdown mi ha molto favorito. In genere io mi sono sempre limitato a scrivere testi brevi, non finalizzati a una pubblicazione diversa da quella prevista sui quotidiani ai quali collaboro. Il virus mi ha invece fornito involontariamente la “colonna vertebrale” attorno alla quale ho potuto attaccare i brandelli di testo utilizzabili per comporre un vero e proprio libro. All’inizio avevo cominciato a scrivere senza rendermi conto che la mutazione generale dello stile di vita alla quale eravamo sottoposti stava anche cambiando il mio stesso modo di scrivere.
Citando un passaggio del suo libro, “Non c’è mai stato tanto spazio tra individuo e individuo come in questi giorni...”: come saranno gli individui nel post Covid-19? Quali residui porteranno con sé?
Non lo so. Intanto vedo che con l’allentamento delle restrizioni le persone tendono a scordarsi abbastanza rapidamente quanto abbiamo appena passato. Le persone hanno voglia di entrare nuovamente in contatto, sarà molto difficile frenare un impulso del genere. Dovrebbero presentarsi di nuovo condizioni di salute problematiche, un rialzo dei contagi, ma sarebbe uno scenario davvero devastante. Spero sinceramente che non accada.
È possibile che questa quarantena abbia fatto emergere un lato caratteriale nelle persone di cui prima non erano a conoscenza? Ha avuto modo di conoscere episodi (di persone) molto differenti tra loro?
Nella mia cerchia di conoscenze non ho notato cambiamenti significativi. Peraltro, sono convinto che le persone non cambino mai in profondità. Il poeta Hölderlin ha scritto una volta che la divinità più potente di tutte è l’abitudine. Per scalfire abitudini o tratti caratteriali radicati occorrerebbero catastrofi di proporzione clamorosa. Aver passato un paio di mesi più o meno chiusi in casa non è abbastanza, a mio avviso.
Spesso quando si scrive ci si libera da paure e ansie. Lei per quale motivo hai scritto questo libro?
Perché avevo tempo, più tempo per farlo. Non ho usato la scrittura per dare sfogo ad ansie particolari, non c’è nulla di terapeutico in quello che ho fatto. Non riuscivo a leggere (cosa che in genere faccio quando sto a casa), quindi mi sono messo a scrivere. È banale, ma è davvero quello che è accaduto.
C’è una citazione particolare del suo libro che vorrebbe condividere?
Il mio libro è costruito quasi interamente di citazioni: prese da libri, da articoli, da post di amici. Ma forse posso riprendere la citazione del filosofo Ludwig Wittgenstein che ho riportato in epigrafe (“Die Welt ist alles, was der Fall ist” - “Il mondo è tutto ciò che accade”) indicandone la modificazione che, alla fine del libro, racchiude per me un po’ il significato di quello che ho voluto dire: il mondo è tutto ciò che potrebbe accadere. Chi leggerà quello che ho scritto capirà meglio quello che intendo.
Sta lavorando a qualcosa di nuovo?
Molti mi hanno chiesto se il personaggio fittizio (Augusto Nicotra, l’avvocato un po’ spiantato che ho congegnato come mio alter-ego e che acquista sempre più rilievo pagina dopo pagina) che altera l’impianto diaristico del libro avrà uno sviluppo romanzesco in senso stretto. Non lo so. Io sono molto pigro. Diciamo che adesso non ho in mente niente di preciso. Spero solo di non aver bisogno di un altro lockdown per arrivare al traguardo di una nuova pubblicazione.
[Matthias Graziani]
CHI È GABRIELE DI LUCA
Nato a Livorno nel 1967, si è laureato in Filosofia all’Università di Bologna e risiede da più di vent’anni in provincia di Bolzano, dove esercita le professioni d’insegnante e traduttore. Editorialista dei quotidiani Corriere dell’Alto Adige e Corriere del Trentino, collabora con il portale d’informazione bilingue salto.bz e con il settimanale ff.