Johnny Ponta, amore per il country a 360°
Esce il 9 dicembre il nuovo album del medico-musicista Gianni Pontarelli
Coordinatore dell’ambulatorio Cure primarie presso l’ospedale di Bolzano e titolare di un maneggio ippoterapico a Salorno, Gianni Pontarelli quando sveste il camice da medico diventa a tutti gli effetti Johnny Ponta, il country man.
9 dicembre: questa la data del lancio del suo terzo cd in cinque anni, “Country Love”, più cantautorale come atmosfera rispetto ai primi esperimenti “Maval” e “Provaci”.
Nato e cresciuto nel Frusinate, da oltre due decadi è ben integrato nella realtà locale e il nuovo album ha già rivelato in anteprima la canzone “Bolzano”, una dedica accorata alla sua terra d’adozione che, come ripete nel ritornello, “non è lontana” dalle sue corde, anzi. All’origine della sua passione per la musica pare ci sia una trattativa, forse un po’ meno faustiana ma senz’altro mistica, con uno sconosciuto: Robert Johnson lo incontrò in un incrocio a Clarksdale e ci barattò l’anima per un’accordatura di chitarra, Johnny e suo padre lo ritrovarono lungo una strada polverosa della Ciociaria che suonava un’armonica a bocca, in cambio della quale sacrificarono un agnello.
Dalle ciocie ai Birkenstock: pentito dopo vent’anni?
Non sarei qui se lo fossi. Punto a superare anche come medico, in prima linea sul territorio, questa fase di emergenza sanitaria, utile a creare un precedente in vista della vaccinazione di massa. L’empatia con i luoghi serve anche a livello compositivo. Mi sento un cantautore descrittivo, assorbo emozioni come una spugna. “Bolzano” vuole essere un pezzo positivo, dove parlo dell’amore, dello sguardo sulla città, di mia moglie...
Al movimento country americano di cui sei un nostrano esponente, giova di più un presidente come Biden o è meglio uno come Trump?
Il primo senza dubbio, Trump ha fatto il suo tempo nonostante la faccia da cowboy. Spero in una politica che aiuti di più le persone e Biden può essere vincente per sistemare la sanità. Negli Stati Uniti ho una parte delle mie radici, perché mio nonno emigrò nell’Indiana e visse là quarant’anni, per poi tornare in Italia a morire. La moglie non lo seguì e lui le spediva i soldi, suo fratello lo imitò e là mise su famiglia, così mi ritrovo dei cugini americani, alcuni dei quali musicisti con cui ho già incrociato le chitarre.
A proposito di country lifestyle: tu ti limiti alla suggestione musicale o prendi tutto il pacchetto (dalla Marlboro County come paesaggio di riferimento alla monta americana, dai rodei al ballo western...)?
Tutte le mattine quando mi sveglio la prima cosa che faccio è pulire i cavalli. Vivo così, certo, ma non posso essere etichettato in tal senso, men che meno in musica. Mi sento uno più folk-pop e, di base, un cantautore, sin da quando ero bambino e strimpellavo una Eko Ranger cui ora ho intitolato un mio brano. Un conto è scrivere canzoni e un conto è il country vero e proprio come musica.
Trentacinque anni fa il New York Times proclamò come “morta ufficialmente” la musica country: c’è qualche nome che posso proprio smettere di ascoltare in questo millennio?
Direi nessuno, se ancora ti emoziona. Tra i meno conosciuti qui da noi, a me piace il mix di country, rock e pop che fa Brad Paisley, tra i classici amo Johnny Cash. Adoro però anche Bruce Springsteen e mi emoziona molto l’origine campana della sua famiglia, di Vico Equense, a un centinaio di chilometri dai posti della mia infanzia.
Come, con chi e dove incidi gli album?
Registro a Salorno e poi mando le tracce a Milano. Lavorare a distanza con i musicisti in tempi di virus è una scelta obbligata, ma era una soluzione anche prima. Quest’ultimo cd mi corrisponde meglio degli altri due, è musica d’autore con i colori del country, anche perché frutto di una simbiosi con il produttore Paolo Agosta che ha saputo entrare nel mio mondo lasciandomi interagire. Ho trovato perfetta sintonia con Charlie Morgan, già batterista di Elton John che è anche venuto a trovarmi qui a casa, come con Marco Barusso al mastering, Filippo Broglia di RECmedia che segue la postproduzione e la distribuzione, tutti...
Covid permettendo, con quali musicisti locali presenterai dal vivo il tuo nuovo lavoro?
Ora i concerti sono bloccati ma avevo in mente di fare qualcosa al rinnovato cinema Costellazione nel quartiere Oltrisarco di Bolzano, che ho già utilizzato per un concerto. Nel gruppo ci sono Matteo Rossetto alla chitarra, Andreas Marmsoler al basso, Manuel Thoma alla batteria, Thomas Vinatzer alla steel guitar e Robbie Weger alle tastiere. Essendo “Country Love” la trasposizione del “Country Road” di John Denver, sarebbe stato bello portarlo un po’ in giro per le strade del mondo, magari negli States a Bloomington in ricordo del nonno. In Ciociaria, nel paese dove mio padre scambiò un agnello per l’armonica di cui m’ero invaghito, ci ho già suonato e avrei avuto i contatti per inserirlo nel tour.
[Daniele Barina]