Walter Baldessarini: vita e colore
Intervista al pittore classe 1936 che espone a Merano fino al 18 aprile
Il tono affabile, il racconto carico di entusiasmo e le immagini di una vita lunga e gioiosa caratterizzano l’incontro con il pittore meranese Walter Baldessarini. Questa felicità nel confrontarsi e una ormai rara indole salottiera - ma non frivola, si badi – offrono la più giusta introduzione al suo lavoro.
L’occasione per incontrare l’artista, classe 1936, la offre Sensual Landscapes, mostra a lui dedicata e visitabile fino al 18 aprile 2020 alla galleria Danny Staschiz di Merano.
I suoi quadri mostrano sempre nuovi dettagli e punti di vista, ma sembrano realizzati con grande spontaneità e piacevole irruenza. Sono questi aspetti anche del suo carattere?
Dipende, potrei dire “Guai se mi toccano!”. Ho alti e bassi, ma credo di essere una persona equilibrata.
Lei proviene da una famiglia di antiquari. Pensa che ciò l’abbia influenzata nella sua scelta?
Da giovane non avevo nessun interesse per la pittura moderna. Ammirando la pittura italiana dei secoli scorsi, ritenevo l’arte moderna troppo bizzarra. Mia madre e una nostra amica, però, mi spronarono con insistenza verso la pittura. Studiai pittura e disegno alla Blocherer Schule di Monaco e poi scenografia e storia del costume al Centro sperimentale di Cinematografia e disegno all’Accademia delle belle Arti di Roma. Sicuramente il fatto che i miei genitori si occupassero di “cose belle” ha avuto la sua influenza.
Perché il Centro sperimentale di Cinematografia?
Avrei voluto lavorare in quel settore, ma entrarci non era affatto semplice. Scelsi il costume, anche se non sapevo nulla di quell’ambito dello spettacolo. Studiai per un anno in vista dell’esame di ammissione e, a differenza dei miei compagni, non presentai qualche disegno che dimostrasse le mie capacità, ma ben sei chilogrammi di fogli. La fatica mi valse la vittoria dell’unica borsa di studio in palio.
Non continuò poi in quell’ambito...
Dopo la chiamata al servizio militare, nella bella Sicilia, mi allontanai da quell’ambiente che sentivo in realtà distante. E tornai all’attività di antiquario, coltivando, anche a fasi altere, la passione per la pittura.
Nella sua vita tutta, e spesso nelle sue opere, affiora la sua passione per la musica.
Mentre studiavo a Monaco, il collegamento con l’Italia era la musica di Giuseppe Verdi, che mi godevo frequentando il Teatro Nazionale. Durante il mio periodo romano, viceversa, mi dedicavo più a Mozart e a Bach. Mozart, ancora oggi, è il mio autore preferito.
Le sue opere comprendono numerosi paesaggi marini. Essendo nato tra le montagne, è questo un desiderio ovvio?
Da bambino mi chiedevo cosa di meraviglioso avrei trovato oltre le montagne. Un amico di famiglia, che passava le vacanze sulla Riviera romagnola, ci decantava le meraviglie del mare. Io, da parte mia, immaginavo sabbie d’oro e acque turchine. Quando mi ci mandarono in colonia, rimasi piuttosto deluso. Con il tempo, scoprendo le coste italiane ebbi modo di ristabilire l’idea che il Mediterraneo fosse meraviglioso.
Non trovo nei suoi quadri segni di negatività. È così?
Vivo di entusiasmi e sono rarissimi i punti oscuri nelle mie opere. Nei disegni lascio più spazio alla parte meno sorridente del mio pensiero, ma non sono mai distruttivo. Questo pudore nel dare spazio agli aspetti più tormentati della vita è parte del mio carattere. Ci sono poi cosi tanti eventi tristi, ormai, che non me la sento di aggiungere la mia parte.
Il viaggio è una costante della sua biografia e gli scenari da lei ritratti rispecchiano questa sua passione.
Ho abitato a Pantelleria, in Puglia e in varie altre regioni del Mediterraneo. Luoghi che ho amato e che mi hanno arricchito anche grazie al contatto con gente che mi era distante per provenienza e cultura, ma vicina per umanità. Dipingere osservando il mare, mentre con una mano tengo il pennello e con l’altra spicco l’uva direttamente dalla vite, è un’esperienza unica.
C’è dell’amore per la libertà nel suo desiderio di viaggiare?
Il mio lavoro di antiquario mi ha permesso di svolgere in assoluta libertà il mestiere del pittore, offrendomi anche il lusso di non dipingere. Avendo sempre fatto ciò che mi piaceva, mi posso dire riconoscente nei confronti della vita. Anche alcuni problemi di salute mi sono stati utili per fermarmi e riflettere su quanto bella e gioiosa sia la mia esistenza.
Quale tinta la rappresenta in modo più pieno?
Il me pazzerello? Il rosso, direi.
Ed un fiore che ama più di altri, visto che le nature morte sono frequenti nel suo lavoro?
L’iris. Che vedo ormai solo come colore puro e bellissimo, a prescindere dalla forma.
[Mauro Sperandio]