La storia poco nota dei bambini di Svevia
L’avvincente romanzo della scrittrice meranese Romina Casagrande
I bambini di Svevia è un romanzo che fa luce su un capitolo poco conosciuto della storia italiana, quello dei bambini che, per tre secoli e fino alla seconda guerra mondiale, venivano venduti dalle famiglie per lavorare nelle fattorie dell’Alta Svevia.
Una storia che è un tuffo in un mondo in cui la natura dice più delle parole e in un passato dimenticato che chiedeva di essere raccontato. A farlo ci ha pensato la meranese Romina Casagrande con il suo primo romanzo per una grande casa editrice.
Romina, tutte le storie cominciano grazie a un’ispirazione. Qual è stata la scintilla che ha dato vita a questo libro? Com’è nato l’interesse di voler raccontare della Svevia?
Ho insegnato per alcuni anni nella valle da cui parte la protagonista del romanzo, Edna, e che è stata il fulcro di questa grande migrazione. Un fenomeno che ricopre tre secoli di storia, non soltanto italiana, e che purtroppo non è molto conosciuto. Mi ha colpito molto emotivamente vedere le foto dei bambini, i loro scarponcini, ripercorrere le loro orme attraverso le montagne, un viaggio pericoloso, da cui molti non hanno più fatto ritorno, sepolti sotto le valanghe, costretti a sopravvivere di elemosina, accompagnati unicamente da un adulto. Oggetto di compravendita nei mercati del bestiame, per loro cominciava poi una seconda vita nelle ricche fattorie, mesi di lavoro durissimo, spesso di abusi.
Di cosa parla il suo romanzo?
Protetta dalle mura di una casa nascosta dal rampicante, Edna aspetta un segno. Da sempre sogna il giorno in cui potrà mantenere la parola data. Quando una notizia la costringe a uscire dall’ombra e a mettersi in viaggio, una promessa lega il suo destino a quello dell’amico Jacob, che non vede da quando erano bambini. Da quando, come migliaia di coetanei, furono costretti ad affrontare un terribile viaggio a piedi attraverso le montagne per raggiungere le fattorie dell’Alta Svevia ed essere venduti nei mercati del bestiame. Scappati dalla povertà, credevano di trovare prati verdi e tavole imbandite, e invece non ebbero che duro lavoro e un tozzo di pane. Li chiamavano “bambini di Svevia”. In quel presente così infausto, Edna scoprì una luce: Jacob. La loro amicizia è viva nel suo cuore, così come i fantasmi di cui non ha mai parlato. Ma ora che ha ritrovato Jacob, è tempo di saldare il suo debito e di raccontare all’amico d’infanzia l’unica verità in grado di salvarli. Per riuscirci, Edna deve tornare dove tutto ha avuto inizio per capire se è possibile perdonarsi e ricominciare. Lungo antiche strade romane e sentieri dei pellegrini, ogni passo condurrà Edna a riscoprire la sorpresa della vita, ma al contempo la avvicinerà a un passato minaccioso.
Qual è stato il suo primo approccio alla scrittura?
Ho sempre amato i libri, le storie. Sono cresciuta in una famiglia in cui si leggeva tanto ed è stata una fortuna per me e, in alcuni periodi, un’ancora di salvezza. Ho cominciato a scrivere per caso, avevo un’idea e ci ho provato. Ho scoperto che mi era sempre mancata la scrittura. Semplicemente, non avevo il coraggio di affrontarla.
In questa storia l’amicizia ha un ruolo fondamentale. Si è ispirata a un amico o un’amica della sua vita per descrivere il legame che lega Edna a Jacob?
Mi sono ispirata alle storie raccontatemi soprattutto dai nipoti di chi è stato bambino di Svevia o di chi ha parlato con loro, ho letto i diari, guardato le foto, ripercorso il viaggio. Ho immaginato una società fatta di bambini, in queste immense fattorie. Bambini che volevano sopravvivere. L’amicizia, che in fondo è una specie di amore, ci tiene a galla.
Ci racconti com’è riuscita ad arrivare alla Garzanti. Non è certo facile farsi notare da case editrici così importanti...
L’editoria è un mondo estremamente complesso. Dall’esterno spesso non se ne ha percezione, soprattutto dell’importanza della filiera, costituita da professionalità ben definite, ciascuna con un proprio ruolo. Lo scrittore racconta le sue storie, la casa editrice le pubblica quando crede in esse. In mezzo, c’è chi delle storie si prende cura. Devo moltissimo alla mia agente.
Edna, la protagonista della tua nuova storia, dovrà tornare a fare i conti col proprio passato. Quanto c’è di lei in questo personaggio e c’è qualcosa, forse, di cui si è liberata lei stessa scrivendo questo viaggio?
Credo che ogni scrittore racconti in qualche modo sé stesso attraverso le storie che sceglie di raccontare. Scrivere è un lavoro faticoso, che ti impone rinunce e assoluta dedizione, convinzione in quello che stai facendo. Non c’è un personaggio che mi rispecchi più di altri. Di certo ho amato molto Edna, le ho dato lo sguardo di un bambino, il modo di vedere il mondo al limite tra la fiaba e l’orrore, lo stupore e la paura, da cui io sono molto affascinata. Le ho dato un dolore, cicatrici da rimarginare, e il coraggio per provare a farlo.
[Matthias Graziani]
CHI È
Romina Casagrande vive e insegna a Merano. Laureata in lettere classiche e appassionata di storia, ha collaborato con alcuni musei realizzando percorsi didattici interdisciplinari. Ama la natura, la montagna e condivide la sua casa con tre pappagalli, due cani e un marito. Dopo aver pubblicato tre romanzi con la casa editrice Arkadia, I bambini di Svevia è la sua prima opera per una grande realtà editoriale.