Il violinista genovese innamorato di Merano
Intervista al direttore d’orchestra e compositore Marcello Fera
Violinista, compositore, direttore d’orchestra, organizzatore. Marcello Fera, genovese, vive a Merano da molti anni ed ha eletto l’Alto Adige a sua seconda patria.
Da qui, da solista, in formazioni cameristiche e con l’Ensemble Conductus, parte spesso in tournèe in Italia e all’estero, ma contribuisce anche a vivacizzare la scena culturale e musicale locale con la sua associazione (vedi il Festival Sonora) e in collaborazione con Merano Arte. Siamo andati a trovaro nella sua abitazione meranese.
Marcello, hai scoperto il violino a 8 anni…
Sono nato in una famiglia in cui la musica era presente: mia nonna suonava da dilettante il pianoforte e cantava, i miei fratelli suonavano il pianoforte. A casa c’erano anche alcuni violini e mi hanno raccontato che fui io a chiedere di studiare il violino. Così cominciai a prendere lezioni private da un violinista del “Carlo Felice” e venne fuori in maniera inaspettata che ero molto portato. Studiai con questo insegnante fino all’ingresso in Conservatorio a Genova dove fui seguito da Alessandro Ghè. Arrivò durante l’adolescenza un grande trauma, ossia lo scollamento tra la percezione diretta del suono e la sua decodificazione e codificazione simbolica attraverso la scrittura. A quell’età la dimensione della scrittura diventa predominante e si fonde con la percezione diretta, l’orecchio che domina nell’età infantile. In me questa fusione tra reale e simbolico non avvenne e improvvisamente mi trovai a stonare. Un dramma. A posteriori tutto ciò mi risultò molto utile perché mi ha costretto a ragionare molto su cosa sia la musicalità. E questo è stato un bene perché mi ha portato a fare un percorso autonomo, dovuto anche al fatto che per motivi caratteriali sono sempre stato portato a cercare il fondo delle cose. Soprattutto ho cercato di fare il musicista per identificarmici, senza seguire un modello preesistente. La cosa si è talmente focalizzata che ho iniziato a comporre, per il desiderio di suonare musiche che non esistono, ma che volevo che ci fossero…
Il violino, in questa ricerca identitaria, ti ha condotto quindi alla composizione. Come compositore, quali “miti” hai avuto?
Nel corso del tempo sono cambiati, ma ci sono delle costanti. Senz’altro Bach. Ricordo la scoperta degli Organa di Leoninus e Perotinus a quindici anni e molto altro. Ho rapporti di tipo “intimo” con Schubert e Mozart.
Tornando al violino, dopo il Conservatorio chi ti ha influenzato di più a livello violinistico?
Ho seguito i corsi di Stefan Georgiu e poi mi sono perfezionato con Renato de Barbieri in modo continuativo. Ho un debito nei confronti di numerosi violinisti di musica popolare che mi hanno fatto scoprire altri modi in cui si può approcciare lo strumento. e a riflettere sul concetto di tecnica strumentale.
Restando nell’ambito della musica popolare, raccontaci della tua collaborazione con il duo Valla-Scurati e col gruppo vocale corso “A Filetta”…
Le riflessioni di cui dicevo mi hanno portato a recuperare l’oralità attraverso la scrittura e a collaborare con Valla e Scurati (suonatori di piffero e fisarmonica che suonano musica delle “quattro province”, ossia quell’area che unisce parti delle confinanti province di Genova, Piacenza, Pavia e Alessandria). Il piffero delle “quattro province”, un oboe popolare, utilizza una scala modale mentre la fisarmonica quella tonale. Ne risulta un “colore” molto particolare. Li ho incontrati durante un viaggio di ricerca in quelle terre ed è stata una riscoperta di un mondo che mi appartiene. A questi musicisti mi sono aggiunto assieme ad un violoncellista e abbiamo formato i “Bellanöva”. Con “A Filetta”, il processo è avvenuto in modo analogo a livello compositivo ed esecutivo.
Come sei arrivato in Alto Adige?
Sono arrivato qui nel ’91 senza sapere nulla di questo posto, entrando a far parte della “Kurorchester Meran”. Per me è stata una scoperta “esotica” e affascinante. Ho avuto una porta d’accesso al mondo di lingua tedesca perché frequentavo il “Theater in der Klemme” e di conseguenza ho vissuto sempre in un ambiente bilingue. Dopo il ’98 sono uscito dalla “Kurorchester Meran” e ho fondato una mia orchestra, l’“Ensemble Conductus”, che mi ha coinvolto molto a livello compositivo.
In che occasione è nato l’Ensemble Conductus?
Nacque grazie a un’esperienza meravigliosa nel ‘99. Fui invitato dal compianto Dieter Oberdorfer, che gestiva un’accademia di organo a Coldrano, in Val Venosta, a formare un’orchestra che accompagnasse l’Estonian Philarmonic Choir per eseguire musiche di Pärt (presente all’evento). Poi l’orchestra divenne stabile e nel 2002 fondai anche un’associazione che porta lo stesso nome con cui abbiamo iniziato a organizzare concerti. Abbiamo proseguito fino all’ideazione del Festival Sonora. Collaboro anche con “Merano Arte” fin dalla sua fondazione. Ne sono il referente musicale. Ogni anno organizzo un concerto in questo spazio artistico.
Parlaci del tuo lavoro sul partigiano “Bisagno”…
Ho composto un lavoro sulla resistenza che si chiama “Sesta Zona”. Si tratta di un melologo corale con sette personaggi che raccontano le loro memorie delle motivazioni per cui sono entrati nella resistenza ligure. Dopo varie letture rigorose sotto il profilo storiografico che richiamavano i racconti sentiti in famiglia, decisi di dedicarmi a questo progetto che coinvolge appunto sette ragazzi, rappresentanti i ventenni che scelsero di vivere in montagna, fuggendo la coscrizione militare della Repubblica Sociale. La parte musicale è eseguita da un quintetto d’archi. In modo commovente i ragazzi, scelti tra non professionisti, raccontano le loro differenti motivazioni per cui scelsero di vivere quest’avventura, richiamati da quel capo carismatico che fu Aldo Gastaldi, nome di battaglia “Bisagno”. Riproporrò “Sesta Zona” a ottobre, per i vent’anni dell’associazione che uscirà anche in veste televisiva per la RAI.
[Gregorio Bardini]