Georg Clementi torna in patria
Concerti a S. Leonardo in Passiria e Campo Tures assieme a Ossy Pardeller
Cantautore bilingue, polistrumentista, attore e regista, Georg Clementi è l’ennesimo cervello in fuga della scena locale che fa fortuna all’estero, se così vogliamo definire la non lontanissima Salisburgo dove vive e lavora per il locale Landestheater.
Partito dall’Agruzzo, dove principia la Bassa Atesina, con una valigia di complimenti guadagnati negli Ottanta tra esibizioni dal vivo, collaborazioni e produzioni discografiche originali, abbandona la Liederszene nostrana ma non la musica inventandosi gli Zeitlieder, canzoni basate su articoli del popolare settimanale germanico Die Zeit che da anni propone in concerto con il chitarrista Ossy Pardeller, altro bolzanino emigrato a Vienna. Die Clempanei, questo il nome del duo, nelle date austriache e germaniche sono stati recentemente coadiuvati sul palco dal celeberrimo columnist del magazine Harald Martenstein e adesso si concedono un ritorno appena entro i confini natii, a San Leonardo in Passiria il 3 settembre e ad Acereto (Campo Tures) la sera del 4.
Da enfant prodige della canzone d’autore locale cosa diresti di essere diventato?
Beh, intanto bisogna dire che i miei primi dischi li ha tradotti in italiano Andrea Maffei, senza il quale non sarei stato in grado di cavarmela. Poi mi ha rapito in effetti il teatro ma non ho mai abbandonato la musica. Sono diventato membro fisso dell’ensemble del Teatro di Salisburgo per quattro anni, in pratica vendendomi a loro, salvo poi rescindere il contratto nel 1997 proprio a causa della mia passione musicale che volevo portare avanti rimanendo un attore libero.
È sbagliato dire che i Clempanei sono un mix tra queste tue inclinazioni, al limite del cabaret?
Penso di non aver mai fatto lavori che non mi abbiano anche divertito; ridere è una delle cose più necessarie della vita ed è un fattore determinante anche della mia arte. Lo spettacolo dei Clempanei è nato in tempi di Coronavirus durante il lockdown, con Ossy pensavamo che non avrebbe nemmeno mai visto la luce su un palco, eppure la cosa non lo turbava in fondo più di tanto, proprio per quanto ci si divertiva a ogni prova.
Vedi molte differenze nell’approccio alla musica di qua e di là dal Brennero?
A questa domanda vent’anni fa ti avrei risposto moltissime, specialmente riferendomi alla lingua. La canzone tedesca aveva poi grossi problemi ad andare in radio, mentre in Italia o in Francia funzionava tutto benissimo, il sistema era più permeabile ai diversi generi, pop, rock, canzone d’autore. In area germanica il pezzo invece doveva già essere una hit, uno Schlager come si dice là. Oggi Austria, Svizzera e Germania hanno recuperato le posizioni perse, aprendosi a tutti i generi e persino alle canzoni dialettali, al punto che non si nota più alcuna differenza con la musica inglese o con l’Italia, dove un Lucio Dalla poteva passare senza problemi sia con un pezzo facile all’ascolto, sia con un testo profondissimo. Adesso artisti del genere esistono anche in quei paesi.
Sono posti dove si fa un gran parlare di un genere “alpino”, categoria cui tu stesso non sfuggi: ma quali sarebbero i fili che tengono ancora uniti paesi transfrontalieri ormai preda dei nazionalismi?
Non sono in grado di analizzarlo a livello di massimi sistemi, posso dirti qualcosa di personale: per me anche solo il patriottismo è fuori luogo, tanto che quando passo il Brennero non avverto nessuna differenza, potrei tranquillamente morire da una parte o dall’altra. Mia moglie è tedesca, viviamo in Austria, sono nato in Italia e vado in vacanza tra Bordeaux e i Paesi Baschi, dove anche potrei stare per sempre. Vado con Ossy a suonare ad Amburgo? Potrei restare fino alla morte anche là! Per me non c’è nessuna differenza tra un fiore francese e uno italiano...
Però dell’Unterland avrai un ricordo privilegiato o no?
Eravamo sei figli che mia madre aveva fatto in sette anni, perciò tutta una banda quasi della stessa età e io ero l’ultimo. Tutti i casini in famiglia li avevano dunque già passati i miei fratelli e le mie sorelle, io li guardavo e ridevo. Mi sono ritrovato la strada aperta, sono stato quello che si dice un Sonntagskind...
Alla tua affermazione lontano da casa ha contribuito l’invenzione degli Zeitlieder: ce ne parli?
Hanno rappresentato un punto di svolta come autore, mi hanno fatto apprezzare in Germania e dal vivo ora si avvalgono della presenza sul palco di una star del giornalismo tedesco come Harald Martenstein, sugli articoli del quale sono basate alcune nostre canzoni, una persona molto divertente e molto politica che dopo il terzo cd di Zeitlieder ha accettato di esibirsi insieme a noi per leggere i suoi stessi pezzi. In gennaio arriveremo anche a Bressanone con lo spettacolo completo insieme a lui.
In musica senti d’ispirarti a qualcuno o hai qualche musicista prediletto che ascolti volentieri?
Uno come me che passa i confini senza accorgersene non sa da dove cominciare per risponderti. Non so se dirti Guccini o Jackson Browne, Wolfgang Ambros o Konstantin Wecker. Come consiglio d’ascolto, a un sudtirolese suggerirei di fare caso ai viennesi Die Strottern che sono assurti a esponenti di spicco dell’importante corrente del Wienerlied.
[Daniele Barina]