Marina Mascher: le lingue della cultura
Intervista alla traduttrice, guida turistica ed esperta del mondo russo
Storica, traduttrice poliglotta, guida turistica, esperta di cultura russa, vicepresidente dell’associazione culturale Rus’, Marina Mascher è una vivace e attiva donna di cultura.
Tiene regolarmente conferenze di tema storico e letterario nel nostro territorio e recentemente ha dato alle stampe una traduzione dal francese di un’originale biografia di Fëdor Dostoevskij. Con Marina Mascher parliamo di studi, scelte e figure femminili.
Lei è nata e cresciuta in una terra bilingue: crede che questo abbia concorso al suo poliglottismo?
No, non direi. La mia curiosità deriva dall’interesse per le altre culture; la conoscenza delle lingue mi permette di curiosare in tradizioni diverse dalla mia. Mi affascina da sempre anche l’utilizzo di alfabeti diversi, che è la prima sfida da affrontare per arrivare alla conoscenza di qualcosa che è simile ma anche differente rispetto a ciò che ci è noto. Confesso che mi sono anche un po’ complicata la vita, visto che mi sono dedicata al cinese, all’arabo e al russo, lingue con alfabeti completamente diversi dal nostro.
Come ha scelto i suoi studi?
La prima laurea, quella in Lingue orientali, è stata motivata dalla mia curiosità; la seconda, in Progettazione e gestione del turismo culturale, è stata una scelta più razionale, perché coerente con il settore in cui ero già impegnata.
Cosa direbbe ai giovani che si trovano nel momento delle scelte importanti?
Lo studio delle lingue è utile per andare al di là di ciò che la sola nostra lingua madre permette e per leggere nella versione originale anche libri mai tradotti. La strada a volte si trova facendola ed è ricca di temi, stimoli, occasioni. Nel mio caso è stato utile seguire un percorso non solo razionale, ma anche ispirato da interesse e curiosità.
Quali progetti ha in cantiere?
Desidero portare avanti le mie ricerche su Ljubov’ Fëdorovna, della quale ho recentemente tradotto la Vita di Dostoevskij narrata da sua figlia, che era appunto la secondogenita del grande scrittore russo. In questo caso, l’occasione per cimentarmi in questo lavoro è stata la mia appartenenza all’associazione culturale Rus’; il pretesto l’ha offerto il fatto che la figlia di Dostoevskij abbia vissuto per un brevissimo periodo a Bolzano e che in città sia morta e seppellita.
Quali sono state le particolarità di questo lavoro?
Sicuramente l’aspetto linguistico legato al tempo, visto che il libro è stato scritto oltre un secolo fa in una lingua un po’ diversa da quella corrente, tanto da costringermi alla ricerca di vari termini desueti. Non dimentichiamo poi che Fëdorovna scrive in una lingua che non è quella materna, ossia il russo, ma in francese. Interessante sicuramente è stato cercare di rendere il flusso di pensiero dell’autrice, immedesimandomi in una persona che raccontava del proprio padre, con uno sguardo che è più o meno condivisibile ma comunque originale.
Quanta libertà si concede nelle sue traduzioni?
Cerco di rimanere più vicina possibile e fedele al testo, ma sempre con l’obiettivo di trasmettere in maniera adeguata il pensiero e la componente emozionale.
Lei tiene e ha tenuto varie conferenze sul tema della fiaba russa. Quale particolare valore ha questa tradizione?
Se un grandissimo scrittore come Puškin ricordava le favole ascoltate da bambino e le apprezzava in quanto eredità di un popolo, dei motivi devono esserci. In tutte le tradizioni favolistiche ci sono personaggi positivi e negativi, scontri e risoluzioni che hanno carattere di insegnamento. Nella tradizione russa spesso è un’eroina che salva le sorti del racconto, intervenendo anche in favore del protagonista maschile.
C’è una fiaba che predilige?
Forse quella di Vasilisa la Bella, nella quale la protagonista si occupa, nutrendola, di una bambolina ricevuta in regalo dalla madre. Questo giocattolo non è altro che la raffigurazione della sua anima e occuparsene le permette di occuparsi di sé stessa per diventare donna. A rendere affascinanti le fiabe sono questi percorsi evolutivi, prove da superare per crescere e realizzare il nostro scopo di vita.
Tra le figure femminili da lei studiate, ce n’è una che particolarmente l’affascina?
Sicuramente Margherita d’Asburgo, che come molte nobili era stata usata un po’ come una pedina matrimoniale per interessi politici. A tre anni viene spedita alla corte di Francia, dove cresce e dove sarebbe dovuta diventare regina, ma viene poi rifiutata e rimandata al padre. Va quindi in Spagna, dove sposa l’Infante Giovanni di Trastámara, che però muore prestissimo; si risposerà poi con Filiberto di Savoia. Margherita conosce contesti culturali diversi, amplia le sue conoscenze e diventerà reggente delle Fiandre in nome del padre, l’imperatore Massimiliano I. È stata una persona intelligente, spiritosa, colta e favorì le arti. Ne ammiro la curiosità e la voglia di imparare, di confrontarsi con culture diverse e, al di là del destino che le è stato imposto, la capacità di determinare la propria vita.
[Mauro Sperandio)