Enrico Pompili, una vita al pianoforte
Intervista al musicista bolzanino ormai assurto a fama internazionale
Abbiamo incontrato il pianista bolzanino Enrico Pompili, un musicista che da anni non vive più a Bolzano, ma che ritorna periodicamente nella sua città natale dove ha affetti familiari, radici, ricordi, amici, spesso impegnato in concerti nei quali affronta pagine musicali di rara bellezza e intensità.
È nata in te prima la passione per il pianoforte o per la musica in generale?
Sono nate insieme. Ricordo che sotto casa mia, in Corso Libertà a Bolzano, abitava un musicista che suonava musica leggera. Si chiamava “Ricky” Gobbo: lo sentivo cantare e suonare il pianoforte per ore e ciò mi piaceva molto e mi rallegrava. Inoltre la musica l’avevo in casa perché mio padre suonava il clarinetto e l‘ascoltavo con interesse quando si chiudeva nella sua stanza per potersi esercitare.
Mio padre era anche un appassionato di musica classica, ascoltava sempre i dischi della collezione Fabbri e talvolta li ascoltavamo insieme, così la passione crebbe... Poi lui mi regalò una tastiera Farfisa, da qui al pianoforte il passo fu breve e quindi decisi di iscrivermi al Conservatorio.
Quali erano i tuoi compositori preferiti?
Beethoven e Chopin, che mi hanno accompagnato per lungo tempo. In seguito si sono aggiunti autori che “giocano” col colore musicale come Ravel. Di questo compositore in particolare affrontai “Miroirs” e il “Concerto” che è stato a lungo un mio cavallo di battaglia.
E attualmente?
Negli ultimi tempi ho approfondito l’opera di Molton Feldman. Inoltre ho eseguito diverse volte “Sonata e Interludi” di John Cage che presenta un interessante lavoro di preparazione del pianoforte. Tre anni fa ho eseguito questo brano a Taipei, dove mi sono recato spesso per tenere delle Master Class, suscitando l’ilarità del pubblico. Un altro autore che ritengo di grande valore è Giacinto Scelsi.
Parlando di pianoforte, quali sono stati i tuoi numi tutelari in ambito didattico e di perfezionamento concertistico?
Due persone in particolare: la prima è Andrea Bambace che mi ha seguito con passione, in modo personalizzato e con una certa energia, supportandomi in modo continuo, “estraendo” da me tutto quel che si poteva estrarre... A lui devo la mia formazione. In seguito, in fase di perfezionamento, Franco Scala dell’Accademia di Imola, che ha confermato la mia identità musicale e la consapevolezza che ciò che era stato seminato in precedenza non era a me estraneo, mi apparteneva...
Restando al pianoforte, chi apprezzi di più attualmente nel panorama concertistico mondiale?
A mio parere Claudio Arrau è una vetta straordinaria, ma anche altri pianisti meno blasonati come ad esempio Alfred Brendel. Come terzo nome cito Joerg Demus, recentemente scomparso.
Quali sono le esperienze più belle che hai fatto a livello concertistico?
Alcune mi sono piaciute moltissimo. Una risale al 1996 durante una tournée in America Latina, a Buenos Aires, dove suonai in una sala chiamata Teatro Opera e dedicata all’opera popolare, un teatro da duemila posti, nell’ambito dei “Concertos del Mediodia”. Si tratta di concerti del mezzogiorno, in cui la gente partecipa con grande entusiasmo dopo aver pranzato velocemente, una tradizione molto bella assente in Europa. Fui commosso dalla partecipazione del pubblico che riempì il teatro. Un’altra bella esperienza la vissi nel 1989 in Slovacchia, dove suonai in una cittadina in un teatro stracolmo di gente che mi chiese anche di suonare dopo il bis, salendo sul palco. Sentii molta gratitudine, e dopo la cancellazione della “cortina di ferro” volli tornare nello stesso posto. Era tutto cambiato, al concerto parteciparono poche persone, la gente aveva altri interessi.
A livello extramusicale, quale personalità ti ha influenzato di più come persona e come musicista?
Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, che ho avuto modo di conoscere personalmente e che mi ha orientato, col suo carisma, nelle scelte della mia vita, rendendo possibile un “affratellamento” con gli autori che eseguo.
[Gregorio Bardini]