Vent’anni di successo e mai un litigio
Giorgio Ulivieri racconta la storia dell’Ensemble Oswald von Wolkenstein
Il destino ha voluto che questa intervista a Giorgio Ulivieri sia avvenuta all’ombra della statua di Dante Alighieri, che si trova dirimpetto alla stazione ferroviaria di Trento. La statua del sommo poeta legato ai “Fedeli d’amore” fiorentini guarda verso nord, verso Bolzano, quasi indicando quella del Minnesänger Walther der Vogelweide, al centro della frequentatissima piazza del capoluogo altoatesino.
Proprio a Bolzano, alcuni decenni fa, operava artisticamente una delle più note formazioni di musica antica che pioneristicamente fece conoscere i capolavori della musica medievale, rinascimentale e del primo barocco, riletti secondo i dettami della più stretta filologia musicale: si tratta dell’Ensemble Oswald von Wolkenstein di cui Giorgio Ulivieri fu l’anima e il manager. Accompagnato dal figlio Nicola Ulivieri, celebre basso-baritono noto a livello mondiale, ci ha rilasciato un’interessante intervista.
Giorgio Ulivieri, come nasce l’“Ensemble Oswald von Wolkenstein”?
Verso fine agosto del 1972 ad Arco, città dove ho sempre abitato, mi chiesero di organizzare presso il Casinò municipale un concerto di apertura per un recital del noto attore Alberto Lupo. La richiesta era difficile da esaudire, perché avrei dovuto presentare qualcosa di nuovo rispetto ai programmi che solitamente proponevo ad Arco, ossia concerti di musica classica “convenzionale” (allora lavoravo come violinista nell’orchestra Haydn) o i soliti valzer di Strauss...
Non ricordo chi, mi suggerì di provare con la musica antica dicendomi di contattare una famiglia di Bolzano che già si dedicava a questo genere con profitto: la famiglia Oberegger. Così conobbi il polistrumentista Volker, sua moglie Trude, dall’ottima voce con sua sorella Heidrun, notevole flautista sia al flauto dolce sia alla traversa rinascimentale, che cantavano e suonavano anche i cromorni, la spinetta e le percussioni. A questi si aggiunsero altri strumentisti e cantanti provenienti da diverse città italiane come Anna Baldo (soprano), l‘architetto Giacomo Nones (cromorno, cornamuti dritti, viola da gamba), Romano Santi (dulciana), Mirko Caffagni (liuto). Io invece, oltre al violino, suonavo la viola da brazzo e la pochette (uno strumento tascabile). Suonavamo e allo stesso tempo cantavamo. Oltre al diploma di violino possedevo anche quello di canto, conseguiti entrambi presso il Conservatorio di Venezia: da qui, credo, la passione per il canto trasmessa poi a mio figlio Nicola. Ci mettemmo di buona lena e presentammo il nostro primo concerto con musiche di Reynaldus, Gastoldi,Forster, Jeep, Tromboncino, G.M. da Crema, Besard, Gabrieli, Bonelli, Kasperberger, Susato. Alla fine Alberto Lupo ebbe un contrattempo e non venne mai ad Arco, ma grazie a lui... era nato l’“Ensemble Oswald von Wolkenstein”!
In seguito sono entrati altri elementi?
Successivamente avemmo la necessità di affinarci dal punto di vista filologico. La musica che suonavamo doveva essere eseguita solo ed esclusivamente con strumenti musicali ricostruiti secondo esemplari autentici conservati nei musei del Medioevo, del primo barocco, ma soprattutto del Rinascimento. Nacque in questo modo la collaborazione col flautista Giorgio Pacchioni. In seguito fecero parte del gruppo anche l’oboista trentino Maurizio de Paoli, che suonava la dulciana, e il romano Andrea Bornstein, che diede un contributo enorme alle nostre ricerche nel campo della filologia musicale. Aggiungemmo quindi le ghironde, le bombarde, le vielle. Allora io abitavo a Bolzano perché lavoravo alla Haydn e quindi potevo provare senza difficoltà con gli Oberegger. A livello nazionale eravamo una novità quasi assoluta, per cui c’era molta curiosità riguardo a questi strumenti dal timbro insolito e ai nostri costumi. Di conseguenza fummo chiamati ad eseguire concerti in tutta la penisola e successivamente in Olanda, Germania, Svizzera, Cecoslovacchia e Bulgaria oltre a varie partecipazioni a programmi radiofonici e televisivi della RAI e di altre emittenti europee.
Qual è il ricordo più bello a livello concertistico?
Sicuramente la tournée in Giappone. Il pubblico giapponese ci accolse con un incredibile entusiasmo.
Dove venivano organizzati i vostri concerti?
In genere nelle chiese o nei castelli. Abbiamo eseguito anche musica sacra fuori dal contesto liturgico.
Il gruppo è stato attivo dal 1972 al 1992, un ventennio: qual è stata la chiave del vostro successo?
Mai un litigio. L’intesa e la fiducia tra me e la famiglia Oberegger, ossia il nucleo del gruppo, è stata sempre totale.
[Gregorio Bardini]