Ricky Gobbo, la fiamma arde ancora
Il musicista bolzanino ha inciso un nuovo album assieme ai due figli
Riccardo “Ricky” Gobbo, alias Ricky Strehler (o Chris Taylor se preferite), è uno dei nomi della scena locale annoverato negli annali della musica italiana sotto la voce cantautori, così come jazzista.
Il tastierista e cantante bolzanino, in realtà polistrumentista, dopo l’esordio con un album di sue canzoni nel lontano 1979, ha allargato nei decenni il proprio raggio d’azione alla dance e al nu-jazz. Nel febbraio di quest’anno, in collaborazione con i suoi due figli, ha dato alla luce un nuovo lavoro The Flame is burning, disponibile in tutti i digital store e accreditato agli S.R.F., il suo nuovo gruppo.
La fiamma arde: ci sono implicazioni politiche?
Assolutamente no, che non finisca come con Lucio Battisti che pagò il saluto a un amico fissato da uno scatto con la nomea di fascista.
È nata una fiaba è il tuo primo disco, a nome Ricky Strehler e da riascoltare ancora su YouTube, musica d’autore che guardava a Cocciante e agli altri talenti allora emergenti sulla scena nazionale o ci sbagliamo?
L’articolo su “Ciao 2001” che mi presentava al mondo diceva che avevo il fisico di Baglioni, le canzoni di Battisti e la voce di Cocciante.
Dopo Strehler cos’è successo? Hai dovuto comunque lavorare?
Facevo ancora il dj fino alle due e poi pianobar fino alle quattro di mattina al Night Dolomiti, in pratica dormendo con la sedia appoggiata al muro ed eseguendo solo strumentali. Il pubblico tanto era lì per un altro “scopo” e dopo essersi divertito qualcuno si finiva lo champagnino, però l’ultimo anno ottenni capacità di spesa per comprare dischi, a differenza di com’era andata al Lucky Lady di San Giacomo dove avevo lavorato prima. Così feci incetta della musica disco dell’epoca, mettevo da Dolce Vita di Ryan Paris a You are a danger di Gary Low...
Italo disco della più memorabile dunque...
Sì, ma a un certo punto mi son detto: questa roba qui so farla anch’io. Sono andato da Loredano Andreasi e ho inciso con il nome d’arte di Chris Taylor il mio primo provino in inglese, Into your Eyes, che ebbe un certo riscontro anche all’estero. Lo portai a Milano a quattro case discografiche e l’indomani una di queste mi telefonò, la Disco Magic di Severo Lombardoni, su suggerimento di Luciano Cantone (ndr.: poi Edizioni Ishtar e producer del primo Mario Biondi) nelle cui mani avevo messo il mio demo: era il 1984 e, senza avere ancora un’alternativa, mi ero già licenziato dal night. Quando ho firmato il contratto mi hanno chiesto se a Bolzano ci fossero negozi di dischi, sai per i milanesi era un po’ come il Polo Nord: appreso che sì, mi hanno riempito la macchina di dischi e mi hanno detto: “vai su a venderli”. Io rifornivo tutti, a partire da Arnold di Baba’s, poi Electronia, Disco New del povero Walter Eschgfäller, Discoteca 2000. Massimo Piliego di Musik Import - un vero grossista - mi definiva un “piccolista”…
Bei tempi?
Tutto bellissimo tranne una cosa: l’eroina. Ha devastato famiglie, amici, fatto perdere vite giovanissime o ben che andasse creato oggi tossici integrati. Abitavo a Bolzano sopra al New Pub, una delle punte di un triangolo formato da altri due locali come il Fantasy e Chez Frederic che a metà degli Ottanta facevano concorrenza ai Prati del Talvera nello spaccio delle peggio sostanze. Se ti facevi “solo” le canne eri un emarginato...
Per integrarsi nella musica invece bastava cantare in inglese: tu come hai fatto?
Dopo le prime esperienze con me alla voce abbiamo fatto cantare dei madrelingua per essere più appetibili sul mercato estero. In The King of the Night per esempio c’era un tenente della NATO di stanza a Napoli, con testi e musica interamente miei ma che troverai firmati anche da quelli che l’hanno rimediato: specie nella musica, è meglio una torta in due che una merda da soli. Il brano infatti l’hanno messo in una compilation, Pop Songs 2000, promossa da Radio Deejay, dove apparivano anche le musiche dello spot della Levi’s e la sigla del programma Le Iene...
Per l’ultima fatica di famiglia, quasi priva di voci a oscillare tra elettronica e nu-jazz, oltre al gusto, occorre saper suonare...
Io ho frequentato privatamente otto anni di pianoforte con il maestro di Andrea Bambace, Nunzio Montanari, e due con Susi Insam, ma anche i miei figli ormai grandi Stefano e Francesco si sono formati, il primo è un polistrumentista e il secondo batterista. Il disco insieme nasce durante il lockdown: da piccolini li ho cresciuti ascoltando di tutto come piace a me e poi si sono anche autoplasmati, sta di fatto che oggi non è che pratichino la musica dei loro coetanei. Io che vendevo dischi ho il massimo rispetto per gli artisti che fanno milioni di copie ma abbiamo subìto tutti e tre influenze più ampie di quelle che dimostrano loro. E poi ci sono due professionisti di qui come Diego Ruvidotti alla tromba e Sandro Miori al sassofono.
[Daniele Barina]